È stato un convegno a far discutere e poi a mettere assieme due realtà che si muovevano forse parallele ma certo disunite. Intorno allo stesso tavolo, le donne che i Consultori li hanno costruiti e vissuti in tempi di femminismo separatista e il ribellismo trans femminista delle ragazze di Non Una di Meno. Età, percorsi, esperienze diverse ma un obiettivo comune: salvare i Consultori.

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Anni di amministrazioni di destra hanno sgretolato, se non distrutto, quella rete solidale che si faceva carico dei bisogni e così anche i Consultori, già limitati negli strumenti e nelle possibilità, si sono trovati sotto la tagliola delle riorganizzazioni, quelle che hanno già reso la sanità locale, da fiore all’occhiello che era, un progressivo quotidiano elenco di disservizi. Ci sono quattro Consultori in città, già pochi rispetto alle previsioni normative, ma l’Azienda Sanitaria ha previsto che ne possano bastare due. Due Consultori per una città di 200.000 abitanti, quando la legge stessa ne prevede uno ogni ventimila.

Eppure Trieste era stata un’eccellenza, una città che per un momento si pensava di poter ridisegnare: un territorio presidiato dai servizi alla persona e alla collettività, un’amministrazione pubblica attenta ai bisogni, alla cura, all’accoglienza. Lo è stata quando la scuola basagliana aveva potuto chiudere il manicomio e aprire i Centri di Salute Mentale e quando il protagonismo delle donne aveva aperto i Consultori con alti livelli di autogestione, forti della multi professionalità che coordinava saperi e voleri offerti al cammino comune delle donne. Nel 1978 anche la Regione Friuli Venezia Giulia aveva approvato una legge che fotografava il fenomeno, legge ancora in vigore ma che, letta oggi, stupisce per la chiarezza di allora e per la lenta silenziosa inesorabile disapplicazione che ne è seguita. Servizi pubblici in cui trovare informazioni sui diritti a tutela di paternità e maternità, appoggio in situazioni di disagio familiare, sostegno per le difficoltà relazionali, supporto sanitario e psicologico nei casi di violenza sessuale, per l’aborto, nei casi di maltrattamento all’infanzia e, ancora, educazione alla salute assieme alle scuole sull’identità sessuale e i rapporti tra i generi…

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I Consultori come luogo nevralgico di prevenzione e risposta alla violenza di genere, radicati nel territorio, vicini alla gente. Dimezzarne il numero vuol dire sottrarre armi alle donne, isolarle, togliere voce alla riflessione sulla famiglia, sui rapporti, cancellare uno spazio di aiuto educazione e crescita per donne e uomini.

Così, venerdì scorso, le donne del Comitato per la difesa dei Consultori e le ragazze di Non Una di Meno sono entrate in uno dei Consultori che la Regione vorrebbe chiudere e ci sono rimaste. Con loro le operatrici dei Gruppi Antiviolenza, della Casa Internazionale delle Donne, i consiglieri comunali e regionali di Adesso Trieste e tanti cittadini. Un percorso prezioso, ineludibile, proprio in vista della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne che infatti ha assunto, a Trieste, una veste particolare, con la gente radunata nella piazza dove era stata indetta la manifestazione ad aspettare il corteo che, dal Consultorio, è poi arrivato fino a lì.

Una piazza piccola ma rappresentativa: lì il presidio permanente contro i femminicidi, la cancellata del giardino con i 106 fazzoletti fucsia da poco strappati e bruciati in un paio di raid notturni rimasti senza colpevoli. Troppo piccola quella piazza per le centinaia di persone presenti e allora tutti in corteo fino alla piazza più grande della città e stavolta sono 340 i fazzoletti fucsia per le donne ammazzate in Italia dal 2021. Per non dimenticare la violenza bruta ma anche che «Per fare una società più giusta, ci vuole l’accesso alla salute libero e gratuito. Per fare una società meno violenta, bisogna investire in salute e istruzione, non in armi e grandi opere. Servizi pubblici, gratuiti, di qualità!».

Dal Consultorio occupato un invito a difendere le conquiste delle donne, a smascherare le ipocrisie di chi esprime cordoglio e intanto smantella proprio quelle realtà che sono nate per l’ascolto, la prevenzione, la cura: «È un atto di rumore contro i minuti di silenzio: non staremo zitte mentre ci ammazzate. Non staremo zitte mentre ci togliete la possibilità di essere curate. Non staremo zitte mentre togliete soldi alla sanità e la chiamate riorganizzazione».