Una telefonata fu rivelatrice. Nel colloquio telefonico di sabato scorso, il presidente della Repubblica Kais Saied ha rincuorato il segretario di Stato americano Antony Blinken affermando che «le prossime tappe per mettere fine alla situazione emergenziale in Tunisia sono pronte». Una frase netta fatta uscire attraverso l’ennesimo comunicato su Facebook, il mezzo preferito da Saied per comunicare con il suo popolo.

Per spiegare i motivi che hanno portato il responsabile di Cartagine a congelare il parlamento, togliere l’immunità ai deputati e sciogliere il governo più di tre mesi fa, il presidente ha fatto riferimento alla situazione economica come «il vero problema».

Un dettaglio che nasconde una grande verità: in Tunisia le casse dello Stato sono quasi esaurite, i movimenti sociali hanno ripreso a manifestare per rivendicare maggiori diritti e il tempo per risolvere le storture fondanti del paese è sempre meno.

CI SONO ALMENO tre spaccati che delineano la situazione oggi nel piccolo Stato nordafricano. Il primo (e più importante) si trova nel profondo sud, a Tataouine. Qui, dopo un ultimatum di tre giorni, da sabato il sit-in di Al Kamour è tornato a rimbalzare su diversi giornali. Al Kamour è il crocevia per la poca produzione petrolifera tunisina. Da cinque anni ospita anche il più grande movimento sociale del paese dopo la rivoluzione del 2011.

Lotte e rivendicazioni che si avvicendano dal 2017 per chiedere una redistribuzione più omogenea della ricchezza prodotta dall’oro nero e un maggiore sviluppo per una delle regioni più marginalizzate del paese. Nel corso degli anni il governo ha siglato due accordi coi manifestanti di Al Kamour. Uno il 16 giugno 2017, l’altro l’8 novembre 2020. In entrambi i casi si promettevano investimenti per la popolazione locale e assunzioni nel settore petrolifero e ambientale.

LA SINTESI È STATA la stessa: la cessazione del sit-in in un primo momento, la ripresa delle proteste una volta appurate le disattese politiche. A più di un anno di distanza dalla firma del secondo accordo, Tataouine ha ripreso le proteste bloccando una valvola che trasporta il petrolio verso la costa e imponendo un blocco stradale in centro città su cui campeggia il ritratto di Anouar Sokrafi, il ragazzo morto investito dalla Garde Nationale nel maggio 2017 durante una protesta.

La voglia di parlare da parte di chi scende in strada da anni è poca, le idee invece molto chiare: «Siamo qui perché nessuno ha mantenuto le sue promesse. Anche Saied non l’ha fatto, non ci importa del resto», le parole di un manifestante seduto con altri suoi compagni in un café di fronte al blocco stradale.

Il secondo spaccato è da ricercare nel codice giuridico tunisino, nella legge 38 che prevede misure eccezionali per assumere nei settori governativi chi è disoccupato da più di dieci anni. Una legge ratificata da Saied più di un anno fa e che oggi lo stesso presidente ha dovuto revocare per mancanza di disponibilità economiche. Una misura che interesserebbe le regioni più marginalizzate della Tunisia ed è proprio da lì che sono partite diverse proteste contro questa decisione.

A Kasserine, sempre a sud e uno dei luoghi simbolo della rivoluzione del 2011, diversi laureati e giovani hanno imposto un sit-in di fronte al governatorato locale iniziando uno sciopero della fame a oltranza. Da molti definita «come linea rossa da non superare», Saied vorrebbe rivedere il metodo di assunzione previsto dalla legge 38 passando attraverso compagnie private, un altro segno della debolezza economica che da più di dieci anni interessa il paese.

INFINE, IL TERZO SPACCATO si trova sempre a sud, più precisamente a Kebili dove i lavoratori dell’agenzia pubblica per l’ambiente hanno protestato di fronte al governatorato contro il mancato pagamento degli stipendi di settembre e ottobre. Una scelta che risale a lunedì, la polizia ha risposto disperdendo i manifestanti con il gas lacrimogeno.

A questi tre momenti, che promettono di diventare più numerosi e violenti in vista di gennaio quando le rivendicazioni socio-economiche dei tunisini diventano più pressanti, si aggiunge la difficoltà del governo a reperire i fondi per coprire il budget dello Stato 2021 (mancano tre miliardi di dinari, quasi un miliardo di euro) e i dubbi su come verrà scritta la legge finanziaria relativa al 2022, ancora sotto forma di bozza.

Mentre a Tunisi si continua a dibattere sulla natura della decisione presidenziale del 25 luglio scorso, con relative manifestazioni pro o contro Kais Saied per capire se si sia trattato di un colpo di Stato o meno, nel resto del paese la priorità è la stessa da anni: la dignità economica e sociale.