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A Rosarno l’«accoglienza diffusa» rimane un tabù

A Rosarno l’«accoglienza diffusa» rimane un tabù

Rosarno Venti giorni fa Becky Moses moriva nel rogo della baraccopoli. Da allora nulla è cambiato. «Basta ghetti, basta soluzioni d’emergenza». Ma i migranti sono inascoltati.

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 17 febbraio 2018

Venti giorni fa Becky Moses, richiedente asilo di 26 anni, nigeriana, morì carbonizzata nel rogo della baraccopoli di San Ferdinando vicino Rosarno. Da allora, nonostante le promesse del Viminale, poco o nulla è cambiato. La denuncia dei Medici per i diritti umani (Medu) e di Amnesty International è un duro atto d’accusa contro governo, regione e istituzioni: «Per i 2.000 lavoratori agricoli stranieri la situazione abitativa e igienico-sanitaria è drammatica. Siamo al collasso». La tensostruttura della protezione civile, approntata nelle ore immediatamente successive all’incendio e in grado di ospitare solo 198 persone, è, infatti, già stata smantellata e solo parte delle persone accolte è stata trasferita.

UNA NUOVA TENDOPOLI del ministero dell’Interno, composta da 40 tende in grado di ospitare fino a 174 persone, senza servizi igienici, acqua ed elettricità, montate sulla terra nuda è insufficiente a gestire l’emergenza.

In assenza di alternative, la maggior parte dei braccianti è rimasta a vivere tra i resti della vecchia baraccopoli, dichiarata ad alto rischio per la salute a causa di una elevata tossicità riscontrata.

Secondo un rapporto dell’Arpacal, consegnato qualche giorno fa alla prefettura di Reggio Calabria, occorrerebbe mettere in sicurezza quanto prima l’area su cui insiste la vecchia tendopoli e le persone che ci vivono visto l’alto grado di tossicità dovuto alla combustione incontrollata di rifiuti in grado di produrre diossine ed altre sostanze inquinanti.

Il 5 febbraio dopo la grande manifestazione dei migranti partiti dal campo e giunti sotto le finestre del municipio, i movimenti antirazzisti e le associazioni attive nella piana di Gioia Tauro erano state ricevute dal sindaco di San Ferdinando e dal prefetto per essere rassicurate sulle soluzioni individuate per far fronte nell’immediato alle precarie condizioni di vita dei lavoratori rimasti a vivere nei resti insalubri della vecchia baraccopoli.

MALGRADO L’OTTIMISMO iniziale, la situazione è però identica a prima se non peggiorata.«In quell’incontro avevamo chiesto un piano d’emergenza davvero alternativo- rammenta Pino Tiano, del coordinamento antirazzista della Piana (Sos Rosarno, Usb, Emergency, Medu, Comitato solidarietà migranti, Osservatorio disagio abitativo Reggio, Rete restiamo umani)- a partire da una mappatura delle case sfitte a cui sarebbe dovuta seguire l’assegnazione delle abitazioni ai lavoratori. A tal proposito abbiamo calcolato che nella sola zona gioiese le case abbandonate ammontino a oltre 15 mila. Ma dal giorno di quel vertice ci sentiamo presi in giro. Non ci hanno convocati per siglare un protocollo d’intesa nè per consultarci sulla situazione gravissima in corso.

C’è il maledetto rischio che basti una pioggia torrenziale a trasformare la tendopoli in un acquitrino. Invitiamo il ministro Minniti a ispezionare di persona la zona per rendersi conto della condizioni gravissime di vita. Questa è una bomba a cielo aperto e solo un caso ha voluto che il 3 febbraio non ci sia stata una strage considerato che in ogni baracca andata in fumo c’era una bombola di gas che sarebbe potuta esplodere con conseguenze disastrose».

NELL’IMMEDIATO c’è la questione igienico sanitaria da risolvere con i possibili rischi per la salute derivanti dalla presenza di un inceneritore nell’area.

Resta il timore che l’isolamento, l’assenza di un sistema di trasporti pubblici adeguato, la mancanza di un reale impegno nella prospettiva dell’inclusione, possano determinare il sorgere di un ennesimo luogo di esclusione, marginalità e sfruttamento con inevitabili conseguenze anche in termini di conflittualità sociale.
«Basta ghetti, basta soluzioni d’emergenza: vogliamo case e dignità» continuano a ripetere, inascoltati, i migranti di Rosarno. L’accoglienza diffusa rimane un tabù a queste latitudini.

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