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A Mosca l’estrema destra marcia in due cortei

A Mosca l’estrema destra marcia in due corteiIl corteo dell’Assemblea di azione permanente del forze nazionanal-patriottiche

Russia Fascisti vecchio tipo e rosso-bruni sono scesi in piazza in occasione della «Festa dell’unità» per rivendicare una supremazia ortodossa, bianca e gay free

Pubblicato quasi 5 anni faEdizione del 5 novembre 2019

Sono state ben due le manifestazioni dell’estrema destra moscovita ieri, in occasione della «Festa dell’unità». Un ricorrenza, quella del 4 novembre, fortemente voluta da Putin qualche anno fa all’insegna del nazionalismo e del tentativo di suturare le ferite che hanno segnato il corpo del paese nel XX secolo. Nella narrazione del Cremlino guerra e rivoluzione, guerra civile e stalinismo e perfino l’ascesa del rapace capitalismo nell’era di Eltsin dovrebbero essere metabolizzati al fine di rilanciare l’idea di una Russia protesa verso il nuovo orizzonte multipolare.

Non è quindi un caso che le forze più reazionarie vogliano proporre una loro versione ancora più sciovinistica dell’idea di supremazia russa. Una supremazia ortodossa, bianca, euroasiatica e gay free.

La prima manifestazione chiamata «Marcia Russa» si è concentrata vicino alla fermata del metrò Oktyabrskoe Pole per poi snodarsi fino a via Maresciallo Biryusov. Indetta dall’Assemblea di azione permanente del forze nazionanal-patriottiche, un coacervo di gruppi monarchi e neo-nazisti, ha proposto il solito squallido repertorio di simboli. Bandiere monarchiche con l’aquila bicefala, croci celtiche, effigi con i profili degli zar. E le parole d’ordine erano in linea con le immagini: «Per un’Europa bianca, cristiana ed eterosessuale» diceva uno striscione. «Libertà per i detenuti politici russi» c’era invece scritto su un cartello inalberato da un giovane. Che davanti alle telecamere della televisione informava di «non essere nazista ma fascista». Fascista russo teneva a precisare.

Al termine della marcetta dal palco si accusava Putin di «voler far tornare la Russia al bolscevismo» e si chiedeva perfino la rottura delle relazioni diplomatiche della Federazione con Israele. Uno spettacolo che Mosca città simbolo della lotta contro il nazifascismo non si meritava. La manifestazione era stata inizialmente vietata dal sindaco Sobyanin, ma infine autorizzata in extremis, a condizione che si svolgesse in periferia.

Di ben altro peso, vivacità e partecipazione, purtroppo, la seconda manifestazione organizzata da una serie di organizzazioni neofasciste che fanno riferimento alla galassia “rosso-bruna” raccolte nel comitato “Nazione e libertà” dai partiti che si definiscono di “sinistra nazionalista” denominatisi “Associazione della resistenza popolare”. Di questo nuovo fronte fanno parte i nazional bolscevichi dello scrittore Eduard Limonov e il “Reggimento stalinista” che ha marciato dietro un grande striscione con falce e martello.

A differenza dei fascisti old-fashion della prima manifestazione, questi gruppi sostengono la politica di Putin nei confronti dell’Ucraina e si appellano a fermare “il genocidio dei russi”. Le parole d’ordine si colorano di accenti fortemente sociali: «No al massacro delle pensioni!» era scritto sui cartelli. Un riferimento alla proposta del governo Medvedev che dopo aver aumentato l’età pensionabile dei russi lo scorso anno, vorrebbe introdurre il sistema contributivo nel calcolo degli assegni previdenziali.

Molti anche gli slogan contro l’immigrazione che toglierebbe il pane di bocca ai russi. Una immigrazione composta qui a Mosca da kirghizi, uzbeki e tajiki: un esercito di deliveroo, taxisti, operai edili in costante crescita nelle città europee della Russia. Non potevano poi mancare i cartelli contro la «peste femminista e gay» che distruggerebbe i «valori della famiglia».

«Si tratta di sentimenti confusi e pericolosi che fortunatamente hanno perso la consistenza che avevano nel 2012 quando marciarono con questi slogan 50mila persone», sostiene Alexander Buzgalin direttore della rivista di sinistra Alternativy, «ma che potrebbero tornare in auge se la stasi del sistema economica del paese si trasformasse in recessione».

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