Ieri sera centinaia di migliaia di israeliani hanno tenuto raduni di massa e cortei a Tel Aviv e in altre180 città e centri abitati contro il progetto di riforma giudiziaria avviata dal governo Netanyahu alla Knesset. E a partire da oggi attueranno una «settimana di paralisi» del paese. Abbiamo intervistato Orly Noy, storica attivista dei diritti degli ebrei mizrahim (mediorientali).  Noy lancia un appello per una democrazia israeliana nuova, non più ebraica ma per tutti i cittadini.

Incurante delle proteste e delle tensioni, anche nelle forze armate, il governo Netanyahu nei prossimi giorni accelererà l’iter alla Knesset in modo da far diventare legge al più presto la riforma della giustizia. Poi cosa accadrà?

Non lo sappiamo. La Corte suprema, cioè l’organo di controllo che è tra i principali bersagli della maggioranza, potrebbe non dare la sua approvazione alle nuove leggi. Il ministro della giustizia ha già minacciato i giudici. Non osate respingere la riforma, ha avvertito. Se invece lo faranno cosa accadrà, avremo due fonti di autorità nel paese, governo e Corte suprema? Giuristi ed esperti non hanno una risposta precisa a questi interrogativi.

Al centro di questo scontro ci sono la Corte suprema e l’autonomia dei giudici. Ma c’è anche un aspetto di cui si parla poco. La riforma punta a dare un peso maggiore al ruolo delle corti rabbiniche, religiose.

Si tratta di un punto centrale che la protesta tocca solo in piccola misura. L’espansione delle competenze dei tribunali rabbinici sarà devastante soprattutto per le donne più deboli socialmente, come le mizrahi. Darà più potere agli uomini. Già ora gli uomini sono in grado di estorcere condizioni favorevoli in caso di divorzio davanti ai giudici religiosi che (sulla base della legge ebraica) non garantiscono pari diritti a uomini e donne. Molte donne rinunciano ai loro diritti pur di ottenere il divorzio, persino alla custodia dei figli pur di separarsi da mariti violenti. Dopo la riforma peggiorerà tutto.

Sono previsti cambiamenti anche nell’istruzione.

Quelli del governo puntano alla privatizzazione del sistema scolastico. Le conseguenze saranno negative soprattutto per le comunità tenute ai margini, come i palestinesi (cittadini di Israele) e gli ebrei etiopi. Finiranno per allargare il gap educativo tra bambini di famiglie benestanti e quelli a basso reddito e più in generale tra ebrei e arabi.

Il quotidiano Haaretz qualche giorno fa scriveva che la contestazione di massa di Netanyahu è molto importante ma che questa è la protesta dei privilegiati, sottolineando l’assenza dalle strade della minoranza araba-palestinese così come gli ebrei etiopi e di parte di quelli mizrahim.

Protestano coloro che trovano accettabile la cosiddetta democrazia ebraica e vorrebbero riportare la situazione a prima dell’ascesa al potere dell’estrema destra. Perché i palestinesi (in Israele) non partecipano alle proteste? Per rispondere a questa domanda è sufficiente osservare le manifestazioni. Un mare di bandiere israeliane sventolate da centinaia di convinti sionisti, sì schierati contro Netanyahu ma fortemente nazionalisti. Un mondo al quale la minoranza araba (21% del totale della popolazione, ndr) sente di non appartenere. Le personalità che gli organizzatori delle proteste invitano a parlare durante i raduni sono quasi sempre ex alti ufficiali delle Forze armate ed ex capi della polizia che si descrivono come i veri patrioti a difesa di Israele, ebraico e democratico. Intervengono persone come l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz che ha dedicato la sua vita combattere i palestinesi. La Corte suprema, non lo dimentichiamo, ha approvato la legge che proclama Israele lo Stato della nazione ebraica e non di tutti i suoi cittadini. La comunità araba, perciò, non si sente coinvolta dalla protesta contro Netanyahu, pur sapendo che questo governo di estrema destra la colpirà duramente. Allo stesso modo si tengono a distanza dalle piazze gli ebrei etiopi. Sono contro Netanyahu e consapevoli che l’indipendenza del sistema giudiziario per loro è una protezione. Ma ricordano che la Corte suprema è rimasta in silenzio di fronte alla inaudita violenza della polizia contro la loro comunità. Così come la Corte suprema non è intervenuta davanti alla rimozione di tante famiglie ebree mizrahi povere da Kfar Shalem, Givat Amal e altre aree soggette a una gentrificazione spietata finalizzata a favorire i grandi investimenti edilizi. Queste e altre comunità ai margini chiedono vera giustizia, vera democrazia, vera uguaglianza, non il vecchio ordine.

Quale democrazia propone il Mizrahi Civic Collective di cui lei fa parte.

Siamo un gruppo di attivisti che guarda con orrore alla rivoluzione che sta attuando il governo Netanyahu. Allo stesso tempo non crediamo nella democrazia israeliana alla quale inneggiano nelle strade. Pensiamo che la lotta contro la discriminazione (da parte degli ebrei ashkenaziti, di origine europea, ndr) che ancora colpisce gli ebrei di origine mediorientale debba unirsi a quella dei palestinesi in Israele e nei Territori. Chiediamo una nuova democrazia che includa tutti, senza eccezioni, dai cittadini arabi agli ebrei etiopi, i mizrahi poveri, anche i lavoratori migranti, su di un piano di completa uguaglianza, di giustizia sociale ed economica. Chiediamo che abbia fine subito l’occupazione militare dei Territori e che i palestinesi possano godere di tutti i loro diritti come popolo e come individui. Questo è l’Israele del futuro che vogliamo.