Cultura

A Genova, schegge femministe

A Genova, schegge femministe8 marzo 1976, Genova – Ducci

FEMMINISMO Basterebbe il titolo per capire quanto siano frontali queste schegge di autobiografie femministe a cura di Silvia Neonato e contenute nel volume La ragazza che ero, la riconosco (iacobellieditore, pp. […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 28 aprile 2018

Basterebbe il titolo per capire quanto siano frontali queste schegge di autobiografie femministe a cura di Silvia Neonato e contenute nel volume La ragazza che ero, la riconosco (iacobellieditore, pp. 249, euro 18).

Un lavoro a più voci dotato di incandescenza politica, oltre che di attualità storica, composto dalle narrazioni di chi ha preso parte al primo collettivo nato a Genova nel 1972 all’interno del gruppo politico il manifesto.

Collocabile fra quelli della prima ora, principalmente insieme alle esperienze milanesi e romane, cioè del Demau, di Rivolta Femminile e di Anabasi, come del Movimento Liberazione della Donna, anche il collettivo genovese arriva a scompigliare gli esiti del ’68.

É una stagione che, in tutta Italia, indica e prepara un protagonismo femminile che assumerà diverse connotazioni. Così anche a Genova – e in molti altri piccoli centri e grandi città – l’inaugurazione della pratica dell’autocoscienza è la scoperta di un momento di inaggirabile forza.

Quando nel 1974 il gruppo cambia nome, prende autonomia dal manifesto, chiamandosi Collettivo Femminista Genovese e l’anno successivo si trasferisce dalla storica sede di via Ponte Reale a piazza De Marini, la dirompenza è ormai inarrestabile. Si articola in coordinamenti – come quello delle donne lavoratrici nato nel 1975 -, prende parte alle battaglie sul divorzio e l’aborto; si confronta con alcune delle realtà della sinistra fino a fondare – nel 1977 – la Casa delle Donne in vico San Marcellino.

IL TITOLO DEL LIBRO restituisce l’intenzione di quanto è accaduto decenni dopo; nelle vite già trasformate dal guadagno di libertà, le narrazioni di Maria Alacevich, Maria Pia Conte, Marina Olivari, Giulia Richebuono, Giovanna Sissa sono l’esito di un incontro recente per capire il significato di incontrarsi e confrontarsi nuovamente.

Ha un senso ripercorrere la memoria vivente di quegli anni, rimetterla in gioco per comprendere quanto parli ancora al presente.

Quali siano state le contrattazioni costanti, il saldo proposito di non disperdere ciò che si è appreso (lo stesso desiderio che nel 2012 ha prodotto due volumi che raccontano di due esperienze cagliaritane di politica delle donne: Memorie del movimento delle donne degli anni ’70 e poi Compagne di parola. Storie di donne del collettivo femminista di via Donizetti).

In La ragazza che ero, la riconosco, dalle preziose prefazioni di Marta Baiardi e Rossana Cirillo alle illuminanti appendici di Elvira Boselli e Francesca Dagnino, tutte le schegge autobiografiche testimoniano l’arcipelago di una radicalità imprendibile e al contempo storicizzabile, tanto più utile se si considera la letteratura grigia. Sempre a partire da sé, al di là del legame con altri gruppi politici (Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Potere Operaio, il Partito Comunista Marxista leninista italiano etc.), accade – ancora una volta e sempre – che la scrittura del femminismo sia indivisibile dai corpi sessuati che lo hanno attraversato come «il soggetto imprevisto della storia»

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