A Dubai russi e ucraini gomito a gomito in nome degli affari
Reportage Nella città emiratina il buen retiro con vista sul golfo per i super ricchi delle due sponde. Dove anche Kadyrov e Tymoshenko, nemici irriducibili, sono vicini di casa. La guerra? Una scocciatura lontana. Vietato parlare del conflitto, ma le armi restano un business fiorente. E quelle russe «testate sul campo», valgono di più
Reportage Nella città emiratina il buen retiro con vista sul golfo per i super ricchi delle due sponde. Dove anche Kadyrov e Tymoshenko, nemici irriducibili, sono vicini di casa. La guerra? Una scocciatura lontana. Vietato parlare del conflitto, ma le armi restano un business fiorente. E quelle russe «testate sul campo», valgono di più
Un paio di settimane fa il lussuoso ristorante Yoy ha festeggiato in pompa magna il suo primo anno di attività. Lo Yoy – che tradotto significa «Wow» – è il primo locale ucraino di tutto il Medio Oriente: si trova a 3500 chilometri da Kiev e ha aperto i battenti appena nove mesi dopo l’inizio dell’invasione russa. Ai suoi tavoli, in ordine sparso, siedono businessman di grido, biondissime modelle vestite di bianco e uomini politici più o meno in incognito. «Prima del 24 febbraio qui vivevano 20mila ucraini – spiega la proprietaria -, oggi siamo già 50mila».
A cinque minuti a piedi dallo Yoy, affacciato sul medesimo specchio di mare stellato, c’è lo Chalet Bereza, che invece è un bar-karaoke russo ed è perennemente affollato da giovanissimi rampolli dell’alta borghesia moscovita. «Siamo qui perché possiamo permettercelo – sbotta Dimitri, che a 26 anni possiede un’azienda di costruzioni -. Si guadagna bene, c’è un bel clima e i negozi di moda sono ben riforniti. Ce la spassiamo, certo, e che c’è di male?».
Tutto questo accade a Dubai, sulle sponde dorate del golfo Persico, dove la guerra appare come una lontana scocciatura e russi e ucraini, gomito a gomito, continuano a fare un sacco di buoni affari. Negli Emirati Arabi non esistono né partiti politici né sindacati, e l’unica ideologia ammessa è quella del business. Così, all’indomani dello scoppio del conflitto gli sceicchi si sono guardati bene dal sanzionare la Russia e hanno continuato a mantenere attivi sia i numerosi voli diretti per Mosca che gli scambi bilaterali, i quali nel 2022 hanno addirittura fatto registrare un incremento del 68%. Allo stesso tempo, il ministero degli Esteri emiratino ha offerto a tutti gli ucraini la possibilità di ottenere un visto di residenza annuale «senza bisogno di sponsorship», riscuotendo ampi e prevedibili consensi nei quartieri alti di Kiev.
Il risultato lo si può ammirare in un qualsiasi venerdì sera lungo il breve tratto di strada che separa lo Yoy dallo Chalet Bereza: a Dubai i ricchi russi e i ricchi ucraini convivono pacificamente come se nulla fosse, mentre alcune decine di paralleli più a nord i loro connazionali vengono gettati gli uni contro gli altri nelle trincee del Donbass.
L’esodo di nababbi è stato così massiccio e improvviso da mandare letteralmente in tilt il mercato del mattone: nel 2022 a Dubai è stata raggiunta la cifra-record di 86mila transazioni di vendita di immobili residenziali, con un incremento del giro d’affari pari all’80% rispetto all’anno precedente. «Molti ragazzi di buona famiglia sono venuti qui illegalmente dopo il 24 febbraio – ci ha raccontato un giovanissimo manager di Leopoli -. Il gioco è abbastanza semplice, specie se hai i mezzi giusti per oliare certe ruote. Poi, una volta arrivato, devi attenerti a poche regole di buon senso. Ad esempio, è meglio non pubblicare sui social troppi post patriottici, specie se nelle foto successive ti si vede sorridente a qualche festa, magari in compagnia di un russo».
Ma a dare il cattivo esempio, in questa storia come in altre, sono spesso coloro che siedono sui gradini più alti della scala sociale. Nel giro di pochi mesi, infatti, Dubai si è trasformata in un autentico buen retiro per decine di super-oligarchi moscoviti in fuga dalle sanzioni – a cominciare dal re dei fertilizzanti Andrej Mel’ničenko, il cui mega yacht da 118 metri è placidamente ormeggiato da mesi nelle acque del golfo. Sempre qui, nell’esclusivo quartiere di Palm Jumeirah, ha comprato casa anche Ramzan Kadyrov, il leader delle milizie cecene alleate di Putin. La sua dimora, sorvegliatissima e irta di telecamere a circuito chiuso, sorge a poche centinaia di metri da un grande resort con le torrette color ocra, il Kempinski Hotel, che tra i propri habitué vanta un altro personaggio di primissimo piano, seppur nello schieramento opposto: la ex primo ministro ucraina Yulia Tymoshenko. Non sappiamo se i due si siano mai incrociati per strada, sul lungomare all’ombra delle palme. Quel che è certo, è che mentre in patria entrambi si sgolano predicando «la guerra fino all’ultimo uomo», qui a Dubai sono semplicemente vicini di casa.
«La verità è che vivendo da queste parti smetti di badare a un sacco di cose – ci ha detto Aleksey Nakazny, un giovane imprenditore ucraino -. A Dubai non esiste propaganda bellica, né di un colore né dell’altro, e in tv si trasmettono soltanto notizie positive. I giornali non parlano dei combattimenti nel Donbass: piuttosto, preferiscono dedicare spazio alla nascita di un nuovo babbuino allo zoo». Oggi Aleksey è presidente di un businessman club riservato agli uomini d’affari provenienti dai ex Unione Sovietica, i cui soci sono circa un centinaio e per metà hanno passaporto russo. «Tutti ragazzi fantastici, con idee meravigliose e business spettacolari – assicura lui -. Sono persone che hanno avuto grande successo nei loro paesi e hanno deciso di venire qui in cerca di pace, sicurezza e tranquillità. Vogliono vivere comodamente, arricchendosi quanto più possibile e senza pensare al conflitto».
L’incanto si regge ovviamente su un unico presupposto: che nessuno parli mai di politica, né tantomeno dei rispettivi affari in patria – ma va detto che a Dubai, dove l’unica ideologia ammessa è quella degli sceicchi e i giornali si occupano di babbuini, il rischio non è poi così alto.
Per quanto accennarvi sia considerato poco chic, tuttavia, la guerra esiste e macina montagne di denaro anche qui. A inizio novembre, ad esempio, il dipartimento del Tesoro Usa ha sanzionato una quindicina di compagnie emiratine accusate di rivendere sottobanco a Mosca ingenti quantitativi di componenti militari di produzione occidentale.
Pochi giorni dopo, il 13 novembre, è stata inaugurata sotto il patrocinio personale del sovrano Mohammed bin Rashid la diciottesima edizione del Dubai Airshow, il più grande salone aeronautico del Medio Oriente, la cui planimetria era letteralmente dominata dall’immenso padiglione della Russia. All’interno, faceva bella mostra di sé una sterminata collezione di armi, missili ed elicotteri da guerra, compreso il famoso KA-52E, ampiamente utilizzato nei cieli dell’Ucraina. «Tutti questi materiali sono stati testati sul campo durante l’operazione militare speciale – ci ha subito annunciato, in perfetto inglese, uno dei manager presenti -. Ed è chiaro che per i nostri clienti questo rappresenta un valore aggiunto». Il che non deve discostarsi troppo dal vero, almeno a giudicare dalla nutrita schiera di delegazioni straniere che affollavano la struttura.
Una volta terminato con noi, il giovane manager ha immediatamente dirottato le sue attenzioni su un gruppo di ufficiali dell’esercito sudafricano, accompagnandoli a ispezionare l’ultimo modello di mitragliatrice anti-drone. I volti dei convenuti erano tutti tirati in caldi sorrisi di circostanza, e siamo abbastanza certi che non uno di loro abbia mai menzionato la parola «guerra».
Perché anche questo, in fondo, fa parte del grande sogno di Dubai: nessuno fa domande, gli affari non hanno bandiera e il denaro continua a circolare – tanto le bombe cadranno in testa a qualcun altro.
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