Da Borgofranco d’Ivrea a Crans Montana, in Svizzera, avrebbe dovuto essere il tappone per eccellenza di questo Giro, e invece si è risolto in un tappino. Tagliata tutta la prima parte, compreso il Colle Gran San Bernardo, dove tanti appassionati erano già saliti (loro) in bicicletta. Non è facile ricostruire le ragioni di questo ennesimo sfregio gratuito al Giro, anche perché, tra i corridori, parlano solo quelli che il percorso lo avrebbero voluto affrontare per intero.

Pare che la notte un sondaggio tra i ciclisti avesse dato l’indicazione di richiedere il protocollo per le condizioni estreme e di non affrontare la Croix de Coeur. La mediazione raggiunta è stata di accorciare la tappa, tenendo in piedi Croix de Coeur e arrivo in quota a Crans Montana. A parte i pochi corridori loquaci, anche gli ex ciclisti e il medico di gara si sono tutti dichiarati perplessi per la scelta. E non è per sadismo o per attaccare con la solfa dei bei tempi andati, se ci si unisce a queste perplessità.

Da quando Nibali sbucò in rosa alle Tre cime, consegnandosi alla leggenda, sono passati dieci anni scarsi: non si sta parlando di quando, per dirla con Boccaccio, volavano i pennati. Se tutti si ricordano di Gaul uscito vittorioso dalla tormenta del Bondone è perché di imprese come quelle si alimenta questo sport. Ma Gaul beveva champagne e mangiava la bistecca, mentre questi “assorbono maltodestrine” e “si idratano”.

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E pilotano astronavi a due ruote. E allora è forse qui il punto, che la scienza applicata allo sport ha creato macchine, umane e meccaniche, perfette per competere in condizioni standard. Condizioni che su in montagna non è facile trovare. E poi c’è la questione della perdita di autorevolezza del Giro. Dai tempi in cui Cougnet ammoniva che sarebbe bastato l’arrivo al traguardo di un corridore, fosse chi fosse, si è passati a dover lisciare dalla parte del pelo i big di turno, o presunti tali, perché la corsa rosa ce n’è già troppi che la snobbano.

Oltretutto, ed è la prima beffa di giornata, bel tempo come in questa prima tappa alpina i corridori non lo trovavano dalla partenza di San Salvo. La seconda beffa è che dei cosiddetti campioni del gruppo nessuno si degna di dare un senso a questa parodia di tappa anche solo con l’accenno di un attacco.

Come già al Gran Sasso, di loro non c’è dunque da curarsi. A rallegrare una giornata nera per il ciclismo ci pensa la fuga, per come strada facendo si trasforma in una rissa. E qui si produce la terza beffa di giornata, perché tra Pinot e Cepeda che passano gran parte della tappa a scattarsi in faccia e, soprattutto, ad insultarsi, la spunta Rubio, colombiano di Benevento, che stringe i denti fino a giungere in vista dell’arrivo, per poi piazzare lo scatto giusto e trionfare sul traguardo a braccia alzate.