Sfilano le contraddizioni a Civitanova, otto giorni dopo l’omicidio di Alika Ogorchukwu. Sfila anche la solidarietà. La risposta di piazza all’indifferenza feroce che ha quasi escluso la vittima da ogni dibattito pubblico, alla fine, c’è stata. Oltre cinquecento persone sotto al sole dell’Adriatico appena mitigato da qualche alito di vento si sono mosse dallo stadio alla centrale piazza XX Settembre. Alcuni hanno percorso ancora qualche centinaio di metri per arrivare fino a Corso Umberto I, nel punto esatto in cui Alika è morto a causa delle botte dal 32enne Fabrizio Ferlazzo.

«All we are saying is give us justice», scandiscono i manifestanti sull’aria di Give peace a chance di John Lennon: tutto quello che diciamo è di darci giustizia. E ancora: «Vogliamo giustizia». «Giustizia per Alika». Questa parola – justice – è in assoluto quella più ripetuta dallo spezzone di apertura del corteo, il più nutrito, quello della comunità nigeriana: molti indossano magliette in memoria di Ogorchukwu, altri quella bianca del servizio d’ordine a testimoniare che ad andare in scena ieri è stata soprattutto la loro manifestazione e che la voce che deve risuonare più forte di tutte le altre è quella di una comunità spaventosamente ferita dall’omicidio di Civitanova.

In mezzo c’è il sindaco di destra Fabrizio Ciarapica, che ha percorso tutto il corteo tra i nigeriani e poi in piazza ha preso la parola per confermare l’impegno della sua amministrazione a fare di più per l’integrazione: «Ribadiamo che Civitanova non è una città razzista e tanto meno indifferente o insensibile e che il gesto di una persona non può essere accomunato alla nostra comunità che è sempre stata accogliente, ospitale e aperta». Tra i presenti si nota Matteo Orfini – accompagnato dal senatore Francesco Verducci e da un pugno di militanti marchigiani del Pd -, che apprezza le parole del sindaco ma ammonisce: «Quello che è successo è figlio del clima avvelenato che viviamo nel paese da tempo, non dobbiamo né possiamo abbassare la guardia».

Il punto, più che altro, è di prospettiva: la complicata situazione che ha reso le Marche una regione «meridionalizzata» (come ha scritto lo Svimez nel suo rapporto dell’anno passato), tra crisi industriali, perdita di posti di lavoro, spopolamento e problemi sociali di una certa consistenza, genera episodi come l’omicidio di Ogorchukwu. Il razzismo, l’indifferenza, la guerra degli ultimi contro i penultimi non sono fenomeni che si manifestano senza preavviso, ma sono sempre il risultato di qualcosa di profondo e, spesso, oscuro.

Quando il gruppone di testa è già in piazza da un po’, si affaccia anche lo spezzone dei movimenti e delle associazioni antirazziste. Un centinaio abbondante di persone partite in ritardo rispetto al resto del corteo per aspettare la decina di pullman accorsi da mezza Italia. A metà percorso si trova una sede della Lega: «Stop immigrazione» si legge sui cartelli appesi alle vetrine. Davanti la polizia fa cordone, ma se la comunità nigeriana è passata di lì senza nemmeno degnare di uno sguardo il tutto, il resto del serpentone si è limitato a inneggiare qualche coro contro Salvini e niente di più.

Alla fine il corteo si scioglie e tutti tornano a casa. La comunità nigeriana, quantomeno, può dire di aver mostrato a Civitanova la propria consistenza e di aver gridato i propri bisogni (su tutti, quello di giustizia). Per il resto la sensazione è che con questa manifestazione si sia chiusa una settimana complicatissima per la città. Resta da vedere se la presa di coscienza collettiva sia avvenuta oppure no. Ma questo solo il tempo saprà dirlo.