Oggi sono cinque anni dallo storico referendum per l’indipendenza catalana, che vide lo scontro fra il governo centrale e quello regionale: ci furono manganellate, sospensione costituzionale delle istituzioni catalane e c’era un fronte indipendentista con una forza mai raggiunta prima. Questa settimana il poco che teneva insieme i due principali partiti catalanisti è andato in frantumi.

Il governo guidato dal president Pere Aragonés, di Esquerra Republicana, è più diviso che mai e il dibattito sulla situazione politica che si è chiuso ieri nel Parlament di Barcellona ha messo in scena una rottura che in realtà si trascina da mesi. Giovedì Aragonés aveva fulminato il suo vice, Jordi Puignerò, di Junts per Catalunya, il secondo grande partito indipendentista e socio di governo. La sua colpa: quella di aver chiesto in sede parlamentare che Aragonés si sottoponesse alla fiducia (cosa che tecnicamente può solo chiedere il presidente). Ma questa è solo la punta dell’iceberg.

I cammini di Esquerra e Junts si sono andati separando da quando il leader di Erc, Oriol Junqueras, era finito in carcere dopo il referendum dichiarato incostituzionale, mentre l’ex president e capo di Junts, Carles Puigdemont, era scappato in Belgio e ora è anche europarlamentare. Il caso prigionieri politici era inevitabilmente finito sul tavolo del governo Sánchez che a giugno dell’anno scorso, aveva deciso, nel tentativo di trovare una soluzione politica al conflitto e di assicurarsi l’appoggio parlamentare di Esquerra, di concedere l’indulto a tutti i leader indipendentisti in carcere. Nel frattempo Esquerra aveva deciso di cambiare strategia, e passare dal massimalismo dell’indipendenza a tutti i costi al pragmatismo: meglio che aver un interlocutore come il Pp, che manda l’esercito a manganellare.

Una volta che la giustizia spagnola si è occupata di allontanare Quim Torra dalla presidenza catalana (per essersi rifiutato di togliere uno striscione a favore dei prigionieri politici), dopo le ultime elezioni, nel maggio 2021 si era formato un nuovo governo: per la prima volta guidato da Esquerra, con la promessa, spianata dall’indulto, di iniziare un negoziato con Madrid. Junts e Esquerra erano di nuovo insieme al governo, ma fin da subito il matrimonio è stato di convenienza: nessuno dei due voleva prendersi la responsabilità di rompere il fronte indipendentista.

Dopo un anno di convivenza forzata, il primo grande nodo è venuto al pettine: prima dell’estate, i voti di Esquerra sono serviti a costringere la presidente del Parlament Laura Borràs, leader di Junts, a dimettersi per un presunto caso di corruzione, e da allora i due soci sono ai ferri corti. Junts si è rifiutato di presentare un nuovo candidato per il Parlament, che ora guida a interim la repubblicana Alba Vergès. Dopo lo smacco di Puignerò, di nuovo Junts si rifiuta di sostituirlo alla vicepresidenza del governo, ma senza ritirare il resto della delegazione di ministri del governo. In attesa di una consulta dei militanti, che avverrà il prossimo fine settimana.

Per quanto chieda ai soci “celerità” nella decisione sul futuro del suo governo, Aragonès sta già preparando il cammino per un governo monocolore di minoranza per affrontare la crisi e il durissimo inverno. Resta da vedere su chi potrà contare per far approvare budget e provvedimenti. Finora i Comuns di Jessica Albiach (numero due di Ada Colau) hanno fornito appoggio esterno a alcune misure, dato che gli assemblearisti indipendentisti della Cup da tempo hanno rotto con gli altri partiti indipendentisti. E i socialisti di Salvador Illa, primo partito ma con lo stesso numero di parlamentari di Esquerra, continuano ad attaccare il govern e sono in attesa dello sviluppo dei fatti.