Sono sette miliardi gli imballaggi per bevande che non vengono riciclati e finiscono in discarica, in inceneritore o dispersi nell’ambiente. Ciò non accadrebbe se l’Italia, alla stregua di altri Paesi europei, si dotasse di un Sistema di deposito cauzionale per i contenitori di bevande, noto con l’acronimo Drs dall’inglese Deposit return system.

GLI IMBALLAGGI MONOUSO DI PLASTICA, alluminio e vetro anziché finire tra i rifiuti verrebbero raccolti. Un emendamento al decreto Semplificazioni bis del 2021 era stato inserito dal deputato Aldo Penna per introdurre il Drs anche nel nostro Paese. Mentre il vuoto a rendere – che pure stenta a ripartire – viene implementato da alcune delle aziende autonomamente che producono bevande e resta quindi vincolato alla scelta del singolo marchio, il deposito cauzionale – se venissero approvati i decreti attuativi – diverrebbe un obbligo di legge e non riguarderebbe solo il vetro ma anche i contenitori in alluminio e in Pet, ovvero in resina termoplastica.

UNA CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE sul tema è stata lanciata dall’associazione Comuni Virtuosi insieme a 15 organizzazioni della società civile. Si chiama A Buon Rendere – molto più di un vuoto ed ha l’obiettivo di introdurre un sistema di raccolta efficiente dei contenitori per bevande.

UNA PRASSI QUESTA GIÀ CONSOLIDATA in molti paesi dell’Unione europea e, secondo un sondaggio realizzato a marzo del 2022, fortemente gradita anche agli italiani: l’83% si è detto infatti favorevole a un Sistema di deposito cauzionale nazionale. Un tempo il vuoto a rendere su cauzione, restituita al momento della riconsegna, era una pratica diffusa anche in Italia. La si utilizzava per il vetro. Con l’introduzione massiva della plastica questa consuetudine è stata dismessa. La politica europea già da tempo punta a «un ritorno al passato». Ciò consentirebbe di raggiungere gli obiettivi relativi alla plastica monouso e di recuperare il vetro che finisce in discarica.

IN ASSENZA DEI DECRETI ATTUATIVI, il cambiamento è fermo ai dibattiti sull’utilità o meno di un deposito cauzionale. Tra gli scettici c’è chi ritiene che creerebbe un limite per la clientela nell’acquisto delle bevande, chi sostiene siano pratiche più consone per i paesi dalla forma circolare che per quelli che si sviluppano in lunghezza a seconda della collocazione del deposito (laddove sia uno solo) e chi punta il dito contro l’aggravio dei costi. Costi che di fatto verrebbero comunque restituiti al cliente al momento della riconsegna dei contenitori e che, laddove leggermente maggiorati, incentiverebbero – secondo gli esperti – alla restituzione.

I SISTEMI DI DEPOSITO SU CAUZIONE sono già ampiamente diffusi in Europa: sono 13 i Paesi ad oggi che ne usufruiscono. A fare da pioniera è stata la Svezia nel 1984, seguita cinque anni dopo dall’Islanda e successivamente da Finlandia, Norvegia, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Estonia, Croazia e Lituania. Tra gli ultimi ad aderire ci sono Slovacchia, Malta e Lettonia. C’è chi ha adottato un sistema centralizzato e chi uno decentralizzato. Il consumatore paga una cauzione tra i 10 e i 20 centesimi che poi gli viene restituita. Sui benefici di un sistema di deposito cauzionale sono stati condotti diversi studi.

L’ULTIMO, REALIZZATO DA EUNOMIA, è stato presentato a Milano lo scorso 15 giugno all’interno della campagna A Buon Rendere. Il primo dei vantaggi è l’aumento dei tassi di riciclo tra i 5 e i 10 punti percentuali a seconda del materiale. Verrebbero anche ridotte le emissioni in atmosfera di gas serra. Migliorerebbe la qualità del riciclato soprattutto per le bottiglie in Pet e ci sarebbero meno rifiuti in discarica e meno rifiuti abbandonati (littering).

PER QUANTO RIGUARDA I COSTI – dicono gli esperti – non sono né i comuni né lo stato, che risparmierebbe sulla plastic tax, a dover finanziare il Drs: «Il costo annuo lordo dell’introduzione di un Drs in Italia – si legge nel rapporto – ammonterebbe a 641,8 milioni di euro. I ricavi dalla vendita dei materiali raccolti per il riciclo e i depositi non riscossi compenserebbero parte di questo costo annuo lordo, fornendo rispettivamente un contributo di 232,4 milioni di euro (circa il 36% dei costi di gestione) e 328 milioni di euro (circa il 51% dei costi di gestione). I produttori pagherebbero quindi la differenza, con un costo netto stimato di 81,4 milioni di euro (circa il 13% dei costi di gestione). L’amministratore del sistema dovrebbe riscuotere un contributo Epr per ogni contenitore».

IL CONTRIBUTO EPR È A CARICO del produttore di bevande ed è previsto per ogni unità di imballaggio immessa sul mercato. A finanziare i depositi sarebbero anche «i proventi ricavati dei materiali da imballaggio raccolti e l’ammontare dei depositi non riscossi dai consumatori che non hanno riconsegnato l’imballaggio vuoto».

IN GERMANIA, DOVE IL COSIDDETTO Pfand, è stato introdotto già nel secolo scorso, è stata approvata di recente una nuova legge che obbliga i commercianti della ristorazione a consegnare previa cauzione un contenitore da poter riutilizzare nei casi di take-away, asporto o domicilio. L’obiettivo è mettere fine alla consuetudine dell’usa e getta, spingendo sempre più la popolazione a riutilizzare i materiali di modo da non produrne continuativamente di nuovi. Questo è il percorso che – da lungo tempo – si attende anche nel nostro Paese.