Il quartiere di Karaburma, a Belgrado, è come un appiglio. Perché attraversarlo, anche oggi, all’epoca della gentrificazione che la capitale serba sta vivendo dopo le guerre degli anni Novanta, le sanzioni e i bombardamenti della Nato, sembra sospeso nel tempo e restituisce un’immagine del passato che altrove, in città, ormai è difficile trovare.

SUL NOME ci sono ancora dubbi: di certo c’è l’origine turca, ma sul significato ci si divide tra «anello nero» (nel senso di zona proibita) o «promontorio roccioso». Un solo elemento non è in discussione dell’identità del quartiere: l’OFK Beograd.

Per molti è «solo» la terza squadra di Belgrado, dopo le celeberrime Stella Rossa e Partizan, ma per una comunità è un simbolo di alterità, con il suo passato prestigioso, con il suo presente da terza serie, sempre di fronte negli ultimi anni allo spettro del fallimento. Oggi si gioca all’Omladinski Stadium, la tana dell’OFK, una struttura da quasi 20mila posti per un quartiere di circa 55mila persone.

Uno sfarzo del passato, una struttura che oggi ha le curve inagibili, con rampicanti ed erbacce tra i vecchi sedili, ma che vive e pulsa ogni maledetta domenica della passione di un gruppo di irriducibili. Andare a vedere l’OFK è come un viaggio nel tempo: padri e figli, fidanzatini, madri e sorelle che sedute sui gradoni bevono una birra tra un coro e l’altro per incitare la squadra. Persone come Voja, bibliotecario, Shomi, che scrive libri dedicati alla storia del club, o Dzo, con il suo look da cultura underground anni Settanta.

DIVERSI, MA UNITI, nella passione per i «romantici». Così si autodefiniscono e sono stati sempre chiamati quelli dell’OFK, perché innamorati di un’idea di gioco – molto offensivo e spettacolare – che negli anni Trenta incantava ed era anche vincente.

All’epoca il nome era BSK, vinse cinque titoli e una coppa nazionale di quello che all’epoca era il Regno di Jugoslavia. Poi è arrivata la guerra e la vittoria dei partigiani di Tito, la Jugoslavia socialista, e il neo-liberismo. E oggi dell’OFK resta la leggenda, ma la realtà racconta di come calcio e business, oltre che politica, in Serbia siano strettamente legate.

Già perché, come denunciano ogni giorno i suoi tifosi, non c’era alcun motivo di far sprofondare l’OFK in questa situazione. O forse sì?

TUTTO INIZIA a precipitare nel 1997, quando un ex idolo del club, Zvezdan Terzic, viene nominato direttore generale. All’inizio si vola: l’OFK torna in prima divisione e lancia (e vende con ottimi profitti) nomi importanti del calcio serbo: Kolarov e Ivanovic su tutti. Terzic diventa presidente della Federcalcio di Serbia e Montenegro e le cose iniziano a cambiare.

Viene arrestato, accusato di maneggi proprio sulle cessioni di calciatori, riesce a scamparla, esce dal carcere, ritorna del club, prima di voltargli le spalle e andare a lavorare con la Stella Rossa. Da quel momento i conti del club precipitano, nonostante una campagna di raccolta fondi dei tifosi, supportati anche dall’estero.

Mentre sta per iniziare la partita, in tribuna arrivano due russi. Sono rifugiati a Belgrado, in fuga dalla coscrizione militare di Putin, ma sono anche ultras della Dinamo Mosca, gemellata con l’OFK. E anche l’Union Berlin e altre tifoserie europee – come quella del Napoli, che ha affrontato delle coppe l’OFK negli anni Sessanta – prendono a cuore il destino del club.

E Dzo quasi si commuove quando racconta di un gruppo di tifosi dell’OFK che sono stati a Zenica, in Bosnia-Erzegovina, raccogliendo la solidarietà e l’aiuto dei tifosi locali. E Dzo, in Bosnia, dopo la guerra non ci era mai andato. Può sembrare solo una storia di calcio romantico, ma in realtà attorno a Karaburma e allo stadio Omladinski si muovono molti interessi.

L’AREA, MOLTO GRANDE, perché attorno allo stadio c’è anche un centro sportivo, è di proprietà del comune di Belgrado che – da sempre – lo lascia in gestione all’OFK. Un accordo che si rinnovava senza problemi fino al 2007, quando di fatto dal comune sono spariti. Nessuno si fa carico della vicenda, nessuno rinnova l’impianto o l’accordo. Certo, sulla carta, l’impianto è vincolato all’utilizzo sportivo, ma tutto quello che è accaduto – compreso i maneggi di Terzic – rende molto sospettosi i tifosi.

Karaburma, prima della fine della Jugoslavia, era un distretto industriale. Dopo il collasso economico degli anni Novanta e le privatizzazioni selvagge delle principali industrie, il quartiere iniziò a cambiare e a essere sempre più deteriorato. Dal 2010 è iniziata la demolizione di diversi complessi industriali abbandonati e nell’aprile 2017 è stato aperto l’ennesimo centro commerciale della città dove prima sorgeva il kombinat industriale.

Nel 2018 è stato annunciato un nuovo lotto immobiliare per l’ex fabbrica Minel Kotlogradnja e altri progetti. Un legame diretto tra la crisi del club, il degrado dello stadio e progetti edilizi non è ufficiale, ma i tifosi e coloro che da anni si battono a Belgrado contro una gentrificazione feroce, che ha avuto nel WaterFront, con capitali degli Emirati, il suo simbolo, ne sono inquietati.

LA PARTITA VOLGE al termine, l’OFK si è imposta con un brillante 4-0, già celebrato con delle birre all’intervallo nel market subito fuori lo stadio (all’interno non si possono consumare alcolici) anche da ospiti stranieri, oltre i russi: un tedesco, un inglese, un italiano. Perché quella dell’OFK sembra una storia totale, tra calcio nostalgico, speculazione e resistenza sociale.

La battaglia dei tifosi, sostenuta anche dall’estero, è partita con una lettera aperta dei supporters che promettono battaglia di fronte a quella che sembra una strategia per degradare l’area e aprirla ai soliti investitori «generosi».

E si capisce che non sarà facile provare a prenderli in giro, come scrivono nel loro testo: «Lavoriamo insieme, combattiamo insieme, per salvare questo club e mantenere viva la possibilità che ancora una volta si continui a giocare sul suo sacro terreno di gioco. Lo faremo tenendo a mente le parole del grande scrittore di calcio, Eduardo Galeano: “Qualche canaglia metterà da parte il copione già scritto e commetterà l’insolenza di dribblare tutta la squadra avversaria, l’arbitro e la folla sugli spalti, il tutto per il piacere carnale di abbracciare l’avventura proibita della libertà”».