Mentre scriviamo il mega soccorso della Geo Barents a un motopesca partito dalla Cirenaica con circa 500 persone è ancora in corso. Sono ore lunghe e complicate quelle vissute dalla nave di Medici senza frontiere (Msf), ma soprattutto dai migranti in pericolo tra onde alte e vento forte. L’ultimo aggiornamento diffuso dalla Ong alle 22 di ieri diceva: «400 persone sono ora al sicuro. Le operazioni continuano, ma sono rallentate dalle forti raffiche di vento».

È LA PRIMA VOLTA che una nave umanitaria corre in aiuto di un barcone partito dalla Libia orientale. La differenza non sta solo nei numeri elevati, che comportano un intervento lungo e faticoso, ma anche nel tipo di mezzo utilizzato. Più grande, più alto dei gommoni o delle barche in legno che viaggiano su altre rotte. «Abbiamo avvistato il motopesca verso le 4.30 di questa mattina [ieri per chi legge, ndr]. C’era un’onda alta tra 3,5 e 4 metri», fanno sapere da Msf. Il mare è migliorato nelle ore seguenti, ma senza mai calmarsi. Intorno a ora di pranzo le onde erano sui due metri. Verso le 13 dalla Geo Barents, la più grande e meglio attrezzata delle navi Ong, sono stati lanciati i Rhib, i gommoni di salvataggio.

IL CASO era stato aperto quasi un giorno prima con un Sos lanciato dal centralino Alarm Phone. Intorno alle 14 di lunedì aveva ricevuto una chiamata da un telefono satellitare in navigazione nel Mediterraneo centrale, nella zona di ricerca e soccorso libica, ormai a ridosso di quella maltese. «Le persone erano molto agitate e gridavano, c’è voluto tempo per calmarle», fanno sapere da Ap. In area c’era anche Seagull, il velivolo di Frontex, ma non si sa se ha avvistato il barcone. Intanto il centralino ha contattato le autorità dei paesi costieri, Libia, Malta e Italia. Non ha risposto nessuno. Invece la Geo Barents, che si stava dirigendo verso Augusta ed era a 140 miglia nautiche di distanza, ha immediatamente invertito la rotta. Pur avendo davanti almeno dieci ore di navigazione.

NONOSTANTE GRANDI DIFFICOLTÀ di connessione, dal barcone sono continuate le chiamate durante il pomeriggio di lunedì. «Non abbiamo cibo, acqua, il tempo è pessimo, ci sono bambini a bordo», dicevano i migranti. Alle 17.29 il centro di coordinamento per il soccorso di Roma (Imrcc) ha lanciato un messaggio satellitare, in gergo tecnico Inmarsat, «per conto delle autorità libiche». Che evidentemente, nonostante abbiano una zona di ricerca e soccorso (Sar) formalmente riconosciuta dall’Organizzazione marittima internazionale, non sono in grado di utilizzare uno strumento fondamentale in operazioni di questo tipo.

NEL FRATTEMPO soffiava un vento da 27 nodi, molto forte, e il barcone era verosimilmente entrato nella zona di competenza maltese. Ma da La Valletta, come al solito, non è partito nessun mezzo di soccorso. Un nuovo Inmarsat è stato lanciato da Roma alle 21.29. «Aiutateci, aiutateci, siamo in pericolo, il mare è grosso», hanno continuato a gridare nel telefono i migranti per tutta la notte. Durante la quale due mercantili, il Bw Cassia e il Declan Duff secondo i tracciati rilevati dal giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura, sono stati inviati a ombreggiare il barcone. Cioè a tentare di fare da scudo a onde e vento. Probabilmente li ha coordinati Malta. Che invece, fa sapere Msf, non ha fatto altrettanto con la Geo Barents. Come avviene di routine e come è successo anche durante la sua ultima missione finita con lo sbarco di 190 persone a Bari.

QUELLA MALTESE è una vicenda annosa. Il paese ha un territorio grande un quarto di Roma Capitale e una popolazione centoventi volte più piccola di quella italiana. Sicuramente non può essere il punto di arrivo dei migranti diretti in Europa, anche perché dopo lo sbarco le persone non possono continuare il viaggio verso nord come fanno molte di quelle che toccano terra in Italia. Per evitare di dover accogliere i cittadini stranieri, che peraltro finiscono in centri di detenzione che il Consiglio d’Europa ha definito «disumani», le autorità di La Valletta continuano però ad avere condotte omissive nell’enorme zona Sar che si sono ricavate dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna (1964). Da un lato adottano criteri restrittivi della nozione di «pericolo», solo se la barca è alla deriva, dall’altro evitano di inviare i propri mezzi.

TANTO CHE, ha spiegato ieri il comandante generale della guardia costiera Nicola Carlone in audizione alla commissione Trasporti della Camera, «i nostri equipaggi sono chiamati a intervenire sempre più lontano». L’assenza o l’inadeguatezza del sistema di soccorso degli altri paesi, infatti, non cancella l’obbligo di soccorso. «Anche al di fuori dell’area italiana», ha detto Carlone.