100 giorni di Amlo e il Messico chiude con il neoliberismo
La «quarta trasformazione» «Lo sviluppo non sia contrario alla giustizia sociale». Il presidente annuncia il suo piano di economia sostenibile, di ordinamento politico e di convivenza tra i vari settori sociali. Ma sui migranti evita lo scontro con Trump
La «quarta trasformazione» «Lo sviluppo non sia contrario alla giustizia sociale». Il presidente annuncia il suo piano di economia sostenibile, di ordinamento politico e di convivenza tra i vari settori sociali. Ma sui migranti evita lo scontro con Trump
Nella sua campagna elettorale per la presidenza, impostata in gran parte sulla difesa dei più bisognosi e oppressi, Andrés Manuel López Obrador aveva promesso una serie di riforme che avrebbero costituito la «quarta trasformazione del Messico».
ELETTO A FUROR DI POPOLO e con il suo partito – Morena – che controlla Parlamento e gran parte dei governatori, Amlo – come viene chiamato dalle iniziali del suo nome – non ha risparmiato proclami e gesti magniloquenti che, dopo i primi cento giorni della sua presidenza, gli hanno valso un impressionante tasso di approvazione popolare (78%).
Ha tolto le munifiche pensioni ai precedenti presidenti, ha sfoltito i ranghi di una elefantiaca burocrazia statale e ridotto gli stipendi del governo, ha scelto di volare in aerei di linea invece di usare il Boeing presidenziale, ha convertito la residenza presidenziale Los Pinos in un museo aperto al pubblico a Città del Messico. Una delle sue prime misure è stato l’aumento del precario salario minimo, che è stato addirittura raddoppiato nelle zone di frontiera con gli Usa, piagate dalla violenza dei narcos.
Soprattutto, Amlo ha aperto un dibattito generalizzato sulle politiche pubbliche, sul passato e il futuro del Messico e ha creato enormi aspettative, il che è un bene» per un paese che aveva perso le sue illusioni avendo per anni sperimentato politiche neoliberiste e clientelistiche subordinate al potente vicino del Nord.
Un altro tassello è quello che Amlo ha aggiunto domenica scorsa. Alla chiusura del Foro nacional sul tema «Programmando assieme la trasformazione del Messico» il presidente ha annunciato un nuovo piano di sviluppo che non dipenda da modelli imposti dall’estero, ma che che sia rivolto ad affrontare le necessità del paese.
«DICHIARIAMO FORMALMENTE la fine del modello neoliberista e della sua politica economica» ha affermato Amlo. Per questo «dobbiamo costruire una proposta postneoliberista che costituisca un modello sostenibile di sviluppo economico, di ordinamento politico e di convivenza tra i vari settori sociali», ha continuato il presidente, ricordando che il governo ha la responsabilità economica, sociale e politica di migliorare le condizioni di vita della popolazione. E quindi «dobbiamo dimostrare che la modernità può essere forgiata dal basso, senza escludere nessuno». Per Amlo, «lo sviluppo non deve essere per forza contrario alla giustizia sociale».
ONESTÀ, EQUA DISTRIBUZIONE della ricchezza, sostanziale eguaglianza di genere, eliminazione di ogni forma di discriminazione dovrebbero far parte dei «lineamenti di una politica postneoliberista».
Queste riforme che riguardano politica e economia interna hanno però un costo. Non entrare in rotta di collisione col potente e ombroso vicino del Nord, con Donald Trump sempre più deciso nella sua politica basata sullo slogan «America first» e nell’applicare la – peraltro mai abbandondata – dottrina Monroe per reimpadronirsi dell’America latina.
«In pratica i funzionari messicani in varie zona della frontiera con gli Stati uniti, per esempio a Tijuana, stanno collaborando per realizzare gli obiettivi delle politiche migratorie dell’Amministrazione Trump», ha denunciato Melissa Vértiz Hernández, segretaria del Gruppo di lavoro sulla politica migratoria, un’organizzazione che si batte per la difesa dei diritti umani in Messico. «Ovvero – ha aggiunto – rendere il più difficile possibile l’ingresso negli Usa ai gruppi di emigranti, soprattutto del Centroamerica, che premono per chiedere asilo».
IN VARIE LOCALITÀ DI FRONTIERA, come Reynosa, Tamaulipas, Tijuana agli emigranti viene di fatto impedito di attraversare la frontiera con gli Usa per chiedere asilo. Essi sono obbligati a riempire i moduli di richiesta e restare in territorio messicano fino a quando le autorità statunitensi decidono se accettare o meno le domande. A Tijuana è stato permesso che un gruppo di donne e minori già entrati negli Usa fossero espulsi in Messico.
Ma non si tratta di fare il «lavoro sporco» del governo statunitense – bloccare ed espellere i migranti – in modo da non irritare Trump, ha affermato un alto funzionario messicano che ha chiesto l’anonimato. I funzionari messicani stanno rispettando il «Protocollo di protezione degli emigranti» voluto dall’Amministrazione Trump nella zona di San Diego (Usa) e Tijuana perché le richieste di asilo dei migranti rientrino nella competenza delle corti del distretto federale del Nord della California, ovvero dei giudici ritenuti più su posizioni liberal.
Insomma la “grana” dei centroamericani che chiedono asilo si inserisce nella lotta tra i democratici (che hanno la maggioranza al Congresso) e l’Amministrazione Trump.
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