1$ per 120 rubli, l’inflazione spinge Mosca verso Pechino
Ingresso di una banca in Russia – Ap
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1$ per 120 rubli, l’inflazione spinge Mosca verso Pechino

Effetto sanzioni Volano i titoli dei colossi dell’industria bellica, come gli italiani Leonardo e Fincantieri, spinti sui listini dall’annuncio tedesco di aumentare la propria spesa militare di 100 miliardi di euro e dalla decisione della Commissione di comprare armi per l’Ucraina
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 1 marzo 2022

Le sanzioni «più dure di sempre», per il solo fatto di essere state annunciate, stanno producendo già effetti destabilizzanti sul sistema finanziario russo, con il rublo a farne principalmente le spese. Invero, è dal 2014 che la valuta russa subisce i contraccolpi delle tensioni geopolitiche legate alla questione ucraina. Nell’anno dell’annessione della Crimea, infatti, si passò da 32 a 66 rubli per un dollaro, che diventeranno 91,77 alla vigilia della cosiddetta «operazione speciale» contro Kiev (poco sotto i livelli di aprile 2021). Ora, però, per un biglietto verde ci vogliono più di cento rubli (120 rubli il picco di ieri). E la situazione è decisamente peggiorata rispetto ad otto anni fa.

In questi anni, ed anche in questi giorni, Mosca è intervenuta spesso sul mercato dei cambi, utilizzando le sue riserve. Con valuta estera si comprano rubli ed asset in rubli per mantenerne il prezzo. Oppure si agisce dal lato del tasso di interesse. Ieri Bank of Russia ha alzato il tasso di riferimento al 20% (era all’9,5%), provando a rassicurare i risparmiatori e ad allettare gli investitori stranieri con rendimenti più elevati.
I risultati, però, sono stati poco incoraggianti. Vendite e corse ai bancomat sono continuate, alcune banche sono andate in forte sofferenza, trascinando giù anche una serie di istituti europei.

Per l’Italia, il colpo più duro l’ha subito Unicredit (esposizione per circa 8 miliardi e, per il fondo spagnolo Bestinver, asset totali per 14 miliardi di euro), ma non meno pesante è andata per Intesa San Paolo, Mediolanum, Banco Bpm, Bper Banca. Pesa l’annunciata esclusione di alcune banche russe dal sistema internazionale di regolazione dei pagamenti Swift ed il congelamento delle riserve moscovite depositate presso istituzioni finanziarie estere.

In compenso volano i titoli dei colossi dell’industria bellica, come gli italiani Leonardo e Fincantieri, spinti sui listini dall’annuncio tedesco di aumentare la propria spesa militare di 100 miliardi di euro e dalla decisione della Commissione di comprare armi per l’Ucraina.

Gli effetti di questa situazione sull’economia russa, a questo punto, si possono immaginare. Gli alti tassi di interesse possono influire – relativamente, come si è visto – sul corso della moneta, ma non fanno bene all’economia nel suo complesso. Presto, a causa di una restrizione del credito, ne risentiranno il sistema produttivo e gli investimenti privati, con effetti recessivi assicurati. Il deprezzamento della divisa nazionale, a sua volta, renderà sempre più costose le importazioni (motori, veicoli, apparecchiature elettroniche, tecnologia, innanzitutto) e determinerà, almeno nel breve periodo, una crescita importante dell’inflazione, con severe ricadute sui bilanci delle famiglie.

Russia senza vie d’uscita? Intanto bisognerà vedere come il «congelamento» delle riserve presso istituzioni esterne potrà concretizzarsi. Di mezzo non ci sono solo alcune banche centrali nazionali, ma anche la Banca dei regolamenti internazionali (Bri) e il Fondo monetario internazionale (Fmi). Non a caso la Cina ha parlato di «sanzioni illegali». Si tratta in ogni caso di poco più del 40% di tali riserve a fronte di uno stock di 643 miliardi di dollari, tra oro e valuta. E di un paniere diversificato, di cui il 13% costituito da renminbi (la valuta cinese).

La Russia poi ha già spostato di molto i suoi traffici verso l’Asia e verso Pechino in particolare – una sorta di preparazione alla guerra -, sia per quanto riguarda importazioni di beni fondamentali che di esportazioni di materie prime (l’interscambio con la Cina ha toccato i 140 miliardi di dollari all’anno). Ed ha potenziato alcune filiere produttive nazionali, soprattutto in campo alimentare e farmaceutico, per ridurre al minimo la dipendenza dai mercati occidentali.

Con l’Europa, però, rimane aperta la via del gas (tra 150 e 190 miliardi di metri cubi annui), che non è stata inserita nel pacchetto delle sanzioni né nella partita dello Swift. Una via, come è facile constatare, che non si può chiudere dall’oggi al domani. Forse mai del tutto. Per la Russia un flusso di denaro che vale tra i 203 e i 228 milioni di dollari al giorno, dei quali una parte può essere impiegata per approvvigionarsi di beni necessari e tecnologia sul mercato cinese ed asiatico. Ecco perché parlare di «collasso dell’economia russa» adesso è prematuro. L’unica certezza è una Russia sospinta sempre più verso Oriente, in un mondo sempre più bipolare.

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