«L’appello pubblicato dal manifesto per spingere verso un’ampia alleanza progressista nel Lazio mi ha fatto molto piacere, dire che lo condivido è persino superfluo», dice Nicola Zingaretti. «C’è un tema che è stato sottovalutato: qui non si trattava di costruire un’alleanza politica per le elezioni, si è invece deciso di porre fine a una alleanza politica e programmatica che comprendeva sia Azione che il M5s e che sta governando bene, dopo aver tolto la regione dall’abisso in cui si trovava. Un’alleanza che ha dimostrato come, pur nel pluralismo delle identità, che esiste, con la volontà politica si può costruire un governo che cambia e migliora le cose. La somma di queste forze nel Lazio alle politiche ha preso il 49,5%, il centrodestra il 45%. Per i noti errori politici si è compiuta la follia di perdere quasi tutti i collegi uninominali. E ora si rischia di mettere in discussione anche la possibilità di continuare una stagione di radicale innovazione. Ben vengano dunque gli appelli: gli elettori vogliono che questa unità non finisca».

Cosa non ha funzionato? Dal fronte M5S accusano il Pd di aver scelto Calenda, che aveva posto come condizione la loro esclusione.

Non è così, Azione fa parte dell’attuale maggioranza che governa il Lazio. Hanno pesato le ingerenze e le scorie di vicende politiche nazionali che hanno le radici a giugno-luglio. Sono io il primo a dire che serviva una ulteriore innovazione rispetto a quanto abbiamo fatto. Ma nel Lazio eravamo tutti d’accordo a proseguire. E’ stata la dialettica nazionale dopo le politiche mettere tutto in discussione. Non lo dico per approfondire il solco delle divisioni, ma perché tutti si assumano le proprie responsabilità. Dopo l’elezione dei presidenti delle Camere, La Russa e Fontana, e dopo l’insediamento della nuova premier, far saltare questa coalizione che avevo costruito è stato un errore politico grave. E non ci si può davvero rimproverare nulla dal punto di vista della disponibilità al dialogo.

Tra Pd e M5S c’è un rimpallo di accuse.
L’idea che il Pd abbia accelerato sul nome del candidato è una scusa. L’iniziativa dem nasce dal muro che è stato innalzato, e che non riguarda il M5S del Lazio. Non c’è stata una dialettica tra partiti, ma tra centro e territori.

Il Pd non ha commesso errori?

Il nostro è l’unico caso in Italia in cui la candidata sconfitta del M5S è entrata in una giunta a guida Pd come assessore. Le differenze di idee e contenuti ci sono e restano, ma in questi anni ha prevalso la volontà di unità nella chiarezza dei programmi.

Il termovalorizzatore è entrato in scena questa estate. Non ha avuto un peso dirimente nella rottura?

È una scusa usata come una clava per nascondere una scelta politica. Il termovalorizzatore è stato discusso da un governo nazionale di cui il M5S faceva parte, in regione non si è prodotta alcuna crisi politica. La scelta di Gualtieri di realizzarlo nasce dalla presa d’atto che la catastrofica gestione dei rifiuti ha portato Roma nelle condizioni che tutti vediamo. Il piano regionale dei rifiuti era fondato su previsioni di crescita della differenziata che negli anni di governo di Virginia Raggi è crollata. Gualtieri ha avuto l’accortezza di chiedere poteri commissariali anche per non compromettere l’alleanza che governava la regione. Aggiungo che la realizzazione del termovalorizzatore non riguarderà in alcun modo il governo del Lazio dei prossimi 5 anni, e neppure i programmi dei vari partiti.

I 5 stelle hanno chiesto più volte a Gualtieri di ridiscutere quel progetto.

Nei dieci anni in cui sono stato presidente, Gualtieri è il primo sindaco che si è assunto la responsabilità di dare uno sbocco ai rifiuti di Roma che ancora oggi vengono trasferiti in altre regioni e fuori dall’Italia. Non ha nulla da rimproverarsi. E fare di questo tema una clava è una follia rispetto al prezzo che si rischia di pagare.

I grillini sostengono che per loro è un tema dirimente. Che per questo hanno fatto cadere Draghi.

Una lettura che non mi convince. Le ragioni della caduta di Draghi vanno ben oltre i rifiuti di Roma.

Lei da leader Pd si è molto speso per difendere il governo Conte 2. Cosa direbbe oggi al leader 5S?

Continuo a pensare che nell’Italia governata da questa destra dovrebbe prevalere in tutti quelli che stanno nell’altro campo una cultura unitaria. Altrimenti anche le critiche più dure al governo si colorano di una grande fragilità. Le opposizioni divise sono meno credibili. Se non c’è un progetto alternativo che ha la speranza di affermarsi, si rischia di cadere nel minoritarismo velleitario, nella pura testimonianza.

Eppure la linea di Conte sembra funzionare, stando ai sondaggi. Ormai è nettamente sopra il Pd.

Funzionare per cosa? Per ora ha funzionato per eleggere La Russa, cancellare il reddito di cittadinanza e il ministero della transizione ecologica, inserire il merito nel nome del ministero della pubblica istruzione, per aumentare le diseguaglianze. Devo continuare? Se si torna ad una politica settaria, ai calcoli di bottega, si possono anche avere delle piccole soddisfazioni temporanee. Ma alla lunga si è tutti sconfitti. Le facce sorridenti in Parlamento io le vedo nei banchi delle destre. Questo discorso vale anche per Calenda che sostiene di aver vinto le elezioni. Se per lui vittoria è il trionfo del populismo di destra è accontentato.

Lei si è dimesso dalla guida del Pd due anni fa. Che valutazione dà oggi dello stato di salute del partito?

Purtroppo la crisi politica e di senso che stiamo vivendo dopo la sconfitta alle politiche conferma che le denunce alla base delle mie dimissioni erano fondate. Mi hanno accusato dall’interno di essere subalterno al M5S: in realtà dal 2019 al 2021 abbiamo vinto tutte le elezioni, comprese le europee, che ci permisero di portare David Sassoli e Paolo Gentiloni in postazioni di primo piano. Ora stanno riemergendo tutti i limiti di una comunità in cui prevale la tentazione di rimuovere un dibattito di fondo sulla nostra identità. E questo mi preoccupa.

Vuol dire che la fase costituente è fallita?

Ancora una volta si fa l’opposto di quello che avevamo deciso, e soffro per la difficoltà palese di avviare un confronto collettivo libero e senza rete. Con la costituente bisognava aprire un dibattito vero, libero, su identità e visione, coinvolgendo il mondo fuori da noi. Invece di dare corpo a questa ambizione, siamo di nuovo ad una conta tra quelli di prima. Spero ci sia il tempo per rimediare.

Cosa avrebbe voluto da questa prima fase del congresso?

Un ampio confronto sull’Italia e su cosa vogliamo rappresentare. Per me dovremmo essere il partito della giustizia sociale e della difesa del pianeta, e far discendere i nostri comportamenti da questi presupposti. Questa doveva essere la vera novità del percorso di ricostruzione, in grado di ritrovare empatia col nostro popolo. E invece siamo all’ennesimo rito della conta. In 15 anni il Pd ha cambiato una cosa sola: i segretari. Temo che ancora una volta, invece di affrontare i nostri limiti, si torni a coltivare l’illusione di poter prendere tempo.

Bettini ha sollecitato una discussione sull’impianto del Lingotto, ormai inadeguato. Sulla necessità di una moderna critica al capitalismo.

Questo è il vero tema del congresso. Temo sia stato un errore aprire questa discussione dentro il comitato dei saggi, perchè ha spinto a doverla rimuovere. Ma sono convinto che tutti siano consapevoli che bisogna aprire una riflessione di fondo.

I candidati leader timidamente stanno avanzando qualche proposta sul Pd del futuro.

Li sprono a fare ancora di più. Da ex segretario ritengo giusto attendere le loro piattaforme prima di esprimere una preferenza per uno o una di loro. Vedo però che Elly Schlein sta mettendo con più insistenza al centro il tema della giustizia sociale e ambientale. Lo apprezzo. Ma prima di decidere chi sostenere voglio vedere i loro programmi.

Secondo lei il campo di alleanze future in che direzione dovrebbe espandersi? Verso il M5S o al centro?

Questi primi mesi di governo confermano che il populismo non aiuta il popolo, lo usa. E la destra sta svelando il suo vero volto colpendo le fasce sociali più deboli, i giovani, le donne, il ceto medio, gli immigrati. E invece si allea con la rendita. Di fronte a questo tutte le forze del campo democratico dovrebbero archiviare una dialettica che ha già portato una minoranza ad avere una netta maggioranza in Parlamento.

Sogna un ritorno al campo largo?

Mi hanno processato per questo, ma ero stato facile profeta. Lasciamo perdere gli schemini, ma rilanciamo una politica nobile e il ritorno necessario a una cultura unitaria a salvaguardia del bene comune. Il fatto che ancora persista questa ostilità al confronto sul merito è un grave limite. Non basta avere buone idee, servono le gambe per farle camminare. Dobbiamo tutti superare i preconcetti che ci hanno diviso. Se ognuno continua a pensare a se stesso si illude, e Meloni applaude. Un conto è non riuscire a costruire alleanze, altro è teorizzare che non va fatto. Nel Lazio abbiamo fatto vivere un riformismo che ha trovato sintesi tra identità per creare più giustizia sociale e ambientale. Un grande patrimonio che bisognava coltivare, invece di picconare.

D’Amato col Pd e Calenda ha qualche chance di vittoria?

Penso di sì. Nel 2018 ho vinto anche senza i 5 stelle. E questa volta non si vota in contemporanea alle politiche, e dunque gli elettori sono ancora più liberi di valutare la credibilità delle proposte. E oggi l’unico candidato che credibilmente può battere la destra è Alessio D’Amato. La partita è ancora aperta.