Restare rischiando la vita o scegliere la via dell’esilio? Questa la drammatica scelta cui si sono trovati di fronte molti afghani, soprattutto donne, dopo il ritorno al potere dei taleban, nell’agosto 2021. Fuggire è stato possibile per chi aveva contatti in occidente ed erano soprattutto donne conosciute per il loro impegno politico e sociale.

Zarifa Ghafari è riuscita a lasciare Kabul e ha trovato asilo in Germania, dove vive oggi. Nominata sindaca di Maidan Shar, una città molto conservatrice, nel 2018, a soli 24 anni, ha dovuto penare nove mesi prima di poter ricoprire l’incarico per l’opposizione degli ultraconservatori. Sfuggita a tre attentati dei taleban, che le hanno ucciso il padre, non si è mai arresa. La sua vita costellata di avversità ma anche di riconoscimenti (selezionata tra le International Women of Courage nel 2020), intrecciata con la storia dell’Afghanistan, è raccontata nel libro Zarifa, la battaglia di una donna in un mondo di uomini (Solferino, pp. 299, euro 19,50), appena presentato al Salone del libro di Torino.

Zarifa Ghafari, in quelle pagine, sostiene che «vent’anni dopo essere arrivati con le loro bombe e le promesse di democrazia, gli americani stavano abbandonando il mio paese al suo destino».

Le chiediamo un giudizio sugli accordi di Doha tra Usa e taleban, che hanno riportato questi ultimi al potere. «Gli accordi di Doha sono solo un altro piano internazionale per svendere le vite, i sogni, l’oggi e il futuro del popolo afghano. Gli Usa hanno cercato di mascherare il loro fallimento nella lotta contro il terrorismo, vendendo il mio paese ai nostri nemici. Gli accordi di Doha sono un’altra vergognosa macchia nera sull’immagine di tutte le comunità che difendono i diritti umani, di coloro che amano la democrazia. Noi afghani non siamo mai stati causa di crisi mondiali, ma abbiamo sempre pagato per la perdita di dominio delle superpotenze. Gli Usa sono venuti in Afghanistan senza un reale piano strategico, nemmeno per ritirarsi, così ci hanno svenduti ai nostri nemici per potersi disfare di una missione che avevano iniziato con false promesse».

Gli estremisti religiosi hanno continuato a operare nel paese anche durante i vent’anni di occupazione occidentale…
La guerra in Afghanistan non è una guerra afghana e nemmeno un problema afghano. Da decenni, quel conflitto è causato da una interferenza dei servizi segreti stranieri e da una lotta per il potere delle superpotenze, come Usa, Gran Bretagna, Russia e Cina, con l’aiuto del paese sponsor del terrorismo, il Pakistan. Dai tempi dell’impero britannico, le agenzie di intelligence hanno usato la religione per indebolire la popolazione meno istruita e vissuta in guerra. Un esempio è il ruolo giocato dall’intelligence britannica contro il re Ghazi Amanullah Khan: gli agenti si definivano leader religiosi e chiedevano al popolo di combattere il re in nome dell’islam. Pertanto, qualsiasi cosa sia accaduta o accada fa parte dello stesso progetto che usa la religione per sostenere il terrorismo.

Lei è tornata in Afghanistan mentre c’erano di nuovo i taleban, con quale obiettivo?
L’obiettivo era quello di conoscere la situazione reale. Anche se il viaggio che ho affrontato è stato molto difficile, sono stata felice di essere a casa, mi manca molto. Sto contando i giorni per poter tornare, perché penso sia importante essere lì per aiutare, per lavorare e iniziare a portare cambiamenti dall’interno, soprattutto per le donne, la cui situazione, come tutti sanno, è terribile.

Molti afghani, soprattutto donne, dopo il ritorno dei taleban hanno chiesto alla comunità internazionale di non riconoscere quel regime. Tuttavia il paese sta vivendo una terribile crisi economica e umanitaria, che cosa suggerisce per aiutare la popolazione?
Aiutare la popolazione non è una ragione per riconoscere un regime che viola i diritti umani, i diritti delle donne, formato da estremisti religiosi e per di più da un gruppo che figura nella lista nera dei terroristi del Consiglio di sicurezza delle nazioni unite, come il legittimo governo di un popolo che ha pagato un prezzo molto alto per la guerra in cui questo gruppo di codardi è stato coinvolto. Il mondo ha molte opzioni per impegnarsi direttamente con gli afghani, in particolare con le donne sia all’interno che all’esterno del paese per trovare una soluzione adeguata. Il riconoscimento dei taleban ci renderebbe, noi afghani, dimenticati dal mondo e da qualsiasi coinvolgimento della Comunità internazionale.

In Afghanistan alle donne è vietato studiare, lavorare… Eppure c’era chi sosteneva che i «nuovi» taleban erano diversi da quelli al potere tra il 1996 e il 2001.
Chi ha potuto credere questo non aveva nessuna conoscenza della politica, dei taleban e soprattutto dell’Afghanistan.

Com’è la sua vita in Germania?
Cerco di vivere affrontando la sofferenza provocata dalla mancanza del mio paese, il mio popolo, gli amici, la famiglia. Sono grata di tutto quello che ho, ma è difficile vivere in esilio quando non è una scelta.