«Bisogna garantire la libertà della navigazione e la sicurezza dei commerci nel Mar Rosso». Così il ministro degli esteri Tajani spiega la volontà del governo Meloni di partecipare all’intervento militare anglo-americano per proteggere i mercantili dagli attacchi degli Houthi.

Le parole di Tajani non giungono nuove. Di fatto, rappresentano un copia e incolla dei comunicati delle diplomazie statunitensi e britanniche per giustificare i bombardamenti contro gli Houthi. Di analogo tenore sono anche le dichiarazioni dei responsabili della politica estera tedesca e francese, a perorare un’ampia partecipazione europea all’azione militare guidata dagli americani.

L’apertura dell’ennesimo fronte bellico viene insomma motivata ricorrendo al vecchio ideale della globalizzazione: se l’Iran e i suoi alleati usano la forza per bloccare la fondamentale via commerciale che passa per Suez, è giusto che l’alleanza occidentale intervenga militarmente per preservare il libero scambio tra ovest ed est del mondo. Nel parlamento britannico c’è chi ha persino affermato che aprire il nuovo teatro di guerra nel Mar Rosso è necessario per tutelare il libero commercio internazionale, il quale a sua volta è ritenuto indispensabile per assicurare la pace perpetua nel mondo. Un’interpretazione creativa di Kant come antesignano di Rambo che proveranno a diffondere anche nelle nostre aule parlamentari, quando il governo italiano si degnerà di informare le camere sull’intervento militare.

Dalle veline di guerra, come è noto, sarebbe ingenuo attendersi coerenza. C’è però un aspetto in questa narrazione bellica che risulta proprio indigesto alla logica più elementare. L’assurdità risiede nel tentativo di giustificare l’invasione militare del Mar Rosso con l’esigenza di difendere la libertà degli scambi commerciali. Un alibi che rasenta il ridicolo, dal momento che proprio gli americani e i loro alleati occidentali sono da anni fautori di un ritorno del protezionismo a livello mondiale.

Da tempo gli Stati Uniti pretendono di affrontare i loro problemi di competitività e di debito estero con un ricorso sempre più sfacciato alle barriere commerciali e finanziarie. Specialmente verso la Cina, con dazi doganali cresciuti in pochi anni fino a sette volte, ma in generale verso tutti i competitori non allineati al Patto atlantico. È la cosiddetta dottrina del “friend shoring”, con cui gli americani puntano apertamente a dividere l’economia mondiale in due blocchi: i «nemici» contro i quali alzare muri e gli «amici» con cui proseguire gli affari. L’Italia e gli altri paesi europei, inquadrati nel blocco degli «amici», si sono finora passivamente accodati al progetto di segregazione dei commerci portato avanti da Washington.

Il problema è che una tale svolta protezionista non può affermarsi in modo indolore. La storia insegna che questo tipo di rivolgimenti attiva una catena di azioni e reazioni, economiche e in ultima istanza militari.

I ribelli yemeniti Houthi presentano gli attacchi ai mercantili occidentali come una risposta alla mancata condanna del massacro israeliano a Gaza. Ma a ben vedere, sotto l’intenzione dichiarata, cova un risiko economico più profondo. La grande questione sotterranea sta nel capire se anche nei prossimi anni gli americani e i loro alleati manterranno il controllo militare del Mar Rosso. Se così fosse, anche la linea commerciale che va dal canale di Suez allo stretto di Baab el-Mandeb finirebbe soggetta al protezionismo americano del “friend shoring”: in sostanza, mentre i mercantili occidentali avrebbero via libera, i cargo dei paesi «nemici» potrebbero pagare alti pedaggi o addirittura trovare semaforo rosso.
Ispirati dall’Iran, gli Houthi guarda caso stanno servendo un progetto esattamente opposto a quello statunitense: lasciano passare i mercantili russi e cinesi mentre attaccano le navi battenti bandiere americane e britanniche.

Una micidiale sequenza di barriere commerciali, controllo delle vie di scambio e guerra militare è ormai in pieno svolgimento nel mondo. Anziché ripetere la gag dei protezionisti che vogliono difendere il libero scambio, l’Italia farebbe bene a interrogarsi sul ruolo che intende assumere in questa annunciata tenaglia di massacri.