Xi Jinping: «Basta prediche alla Cina»
Cento anni di Partito comunista Nel discorso del Centenario il numero uno avvisa chi vuole «bullizzare» il paese e ricorda l’obiettivo di «riunificazione» con Taiwan
Cento anni di Partito comunista Nel discorso del Centenario il numero uno avvisa chi vuole «bullizzare» il paese e ricorda l’obiettivo di «riunificazione» con Taiwan
La Cina si è alzata in piedi, perché il tempo in cui veniva «abusata e bullizzata dagli altri è finito per sempre». La Cina è «coraggiosa e sicura di sé», perché è stata in grado «di distruggere il vecchio mondo» e di «creare un nuovo mondo».
LA CINA è forte, è una «società moderatamente prospera» che mira a diventare «armoniosa». La Cina sta costruendo il suo «grande ringiovanimento» attraverso un processo di rinnovamento «storico» e «irreversibile». Così come la sua ascesa, con il quale il mondo deve imparare a convivere perché la Cina accoglierà sì «suggerimenti» da altre culture, ma non accetterà «prediche» da chi pensa di «avere il diritto» di darle lezioni.
E se la Cina non ha mai «prevaricato popoli di altri Paesi e non lo faremo mai», allo stesso tempo non permetterà «a forze straniere di prevaricarci, opprimerci o soggiogarci». Chiunque osasse comunque provarci, «si troverà in rotta di collisione con una grande muraglia d’acciaio forgiata da oltre 1,4 miliardi di cinesi».
XI JINPING ha chiuso le celebrazioni del centenario del Partito comunista cinese parlando dal rostro di piazza Tianan’men a Pechino. Rispolverando la classica divisa maoista di colore grigio scuro che non indossava dal 1° ottobre 2019 (giorno delle celebrazioni per il 70esimo anniversario della Repubblica Popolare), Xi ha parlato per circa un’ora rivendicando con forza l’unicità del percorso cinese, indissolubilmente legato al partito. Quel partito nominato 102 volte durante il suo discorso e che ha saputo trasformarsi da una forza di protesta ai tempi della Repubblica di Cina alla mastodontica organizzazione di oggi, in grado di controllare (quasi) tutti i gangli dello stato, in un binomio tanto indissolubile da rendere ormai impossibile definire dove finisce il partito e dove inizia lo stato. Allo stesso modo diventa impossibile definire dove finisce, per Xi, il ruolo di segretario generale del partito stesso e quello di presidente della Repubblica Popolare. Tanto che non sarebbe più da escludere il ritorno della carica di presidente del partito (abbandonata dopo la morte di Mao Zedong) al prossimo congresso del 2022.
NEL SUO DISCORSO, Xi ha ribadito che il marxismo è «l’anima del partito», sostenendo che l’ascesa economica cinese dimostra che funziona ancora oggi. Il socialismo con caratteristiche cinesi è stato l’ingrediente vincente per raggiungere il risultato storico dell’eliminazione della povertà assoluta e della realizzazione di una «società moderatamente prospera» in tempo per il centenario.
MA LO SGUARDO di Xi è rivolto anche e soprattutto al futuro. Nel suo discorso ha citato gli altri obiettivi previsti per il futuro, a partire da quello di realizzare una «società armoniosa» e un paese «socialista forte, civile, moderno e democratico». Sì, perché il Partito comunista non ha mai rinunciato a parlare di «democrazia», così come di «diritti umani». Ma intende i due concetti in maniera molto diversa dall’occidente. L’obiettivo della «società armoniosa» è da raggiungere entro il 2049, anno del secondo grande centenario, quello della Repubblica Popolare. A metà strada c’è il 2035, anno entro il quale Xi dovrà completare la sua eredità politica. Un’eredità che lui sogna possa essere il completamento di quella che Pechino definisce «riunificazione nazionale». Dopo aver prepensionato l’autonomia di Hong Kong, basata sul modello «un paese, due sistemi», nel mirino c’è Taiwan. Anche in tal senso va letto il discorso di Xi in riferimento alla necessità di modernizzazione delle forze armate.
Diversi anche i passaggi rivolti all’esterno. «Qualsiasi tentativo di dividere il partito dal popolo cinese è destinato a fallire», a ribadire che il Partito è il centro di tutto e che nessuno deve illudersi di avanzare l’idea di un cambio di sistema politico in Cina, ipotesi suggerita più volte nell’ultimo anno dagli Stati Uniti. Il messaggio, implicito, a Stati Uniti e occidente è chiaro: è il momento di smettere di illudersi che la Cina possa essere cambiata dall’esterno, o addirittura da esso modellata. Il percorso, ergo l’ascesa, della Repubblica Popolare è irriducibile, irreversibile e al centro di tutto c’è e ci sarà sempre lui: il partito.
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