Una forte esplosione nella città di Lugansk ha ferito gravemente Igor Kornet, ministro dell’Interno filo-russo dell’omonima regione separatista. L’agenzia di stampa statale russa Tass, che cita una fonte anonima nelle forze di polizia locali, riporta che «una forte esplosione» in una barberia nei pressi della sede della televisione nazionale separatista ha lasciato un morto al suolo, ferito 3 passanti, altrettanti membri della guardia personale del ministro e ridotto lo stesso Kornet in fin di vita. Per le autorità russe si tratta di «un attentato» ordito dagli ucraini.

Ma il governo di Zelensky ovviamente non commenta. Anche se stavolta un’accusa per gli uomini di Kiev è arrivata direttamente da uno dei centri del potere del Paese aggredito lo scorso 24 febbraio. Secondo la testata Ukrainska pravda, che a sua volta cita fonti interne alla polizia nazionale ucraina, ci sarebbe la longa manus dei servizi segreti ucraini (l’Sbu) dietro l’attentato dinamitardo a Lugansk.

Ma non è l’unico mistero che tiene banco al momento. Secondo il quotidiano statunitense Washington Post, infatti, il capo della brigata di mercenari Wagner, Evgeny Prigozhin, avrebbe offerto al governo ucraino la posizione delle forze russe in cambio del ritiro delle truppe di Kiev dalla città assediata di Bakhmut, dove i mercenari stavano registrando pesanti perdite. Kiev non conferma e non smentisce ma dichiara che «c’è una guerra in atto e si fa tutto ciò che si può per vincerla». Prigozhin le definisce «fake news» contro di lui e, almeno per ora, anche il Cremlino sembra credere che si tratti di notizie artefatte.

Intanto, proprio a Bakhmut gli ucraini annunciano il «primo successo nella controffensiva», ovvero la riconquista di 10 postazioni in mano ai russi, ma ammettono che la situazione «resta critica» poiché Mosca continua a inviare rinforzi al fronte.