«Walser», quando la montagna era già letteratura
Ultimamente gli autori di romanzi ambientati e ispirati alla montagna si stanno impegnando nella definizione di un canone detto «letteratura di montagna», che vedrebbe in Mario Rigoni Stern il maestro. […]
Ultimamente gli autori di romanzi ambientati e ispirati alla montagna si stanno impegnando nella definizione di un canone detto «letteratura di montagna», che vedrebbe in Mario Rigoni Stern il maestro. […]
Ultimamente gli autori di romanzi ambientati e ispirati alla montagna si stanno impegnando nella definizione di un canone detto «letteratura di montagna», che vedrebbe in Mario Rigoni Stern il maestro.
Personalmente credo che sia una forzatura, la letteratura non ha bisogno di primati ma, ahinoi, la società in cui siamo immersi e di cui siamo partecipi purtroppo sì.
La letteratura di montagna, come la letteratura degli alberi, l’ecologia letteraria o la letteratura di paesaggio è sempre esistita, fin dai tempi dei sacri testi, La Bibbia, il Corano, il Mahabharata.
E c’è stato un tempo in cui i gesti e le esistenze scorrevano già come letteratura, per la loro epicità, per la sfida al tempo, agli elementi, alle difficoltà estreme.
Basti pensare ai racconti di Jean Giono, che rappresentava la vita della gente delle zone collinari della Provenza e dei montanari fra le Alte Alpi, col timore delle bestie, la dipendenza dai pozzi d’acqua, la fatica immensa di lavori che ti potevano schiantare in un attimo.
E questo voler incasellare certe voci e certe opere, a chiaro vantaggio di chi va definendo il canone, mi risulta ancora più evidente quando vado a rileggere voci che la storia delle alpi l’hanno scritta con le azioni, la ricerca antropologica, la passione.
Ne è un esempio Walser. Civiltà sapiente delle alte Alpi, corposo volume curato da Paolo Zanzi ed Enrico Rizzi e pubblicato recentemente dalla Fondazione Enrico Monti e dalla Libreria Grossi di Domodossola.
Il centro studi Monti ha già pubblicato una serie di volumi straordinari, di cui ho la fortuna di possedere Le alpi. Viaggi e altri scritti del botanico ed esploratore bernese Albrecht von Haller, autore del primo poema alpino, Die Alpen (1732), ma nel cui catalogo figurano altri must del genere, quali I Grigioni nella storia e De alpibus dello scalatore e storico statunitense William August Bravoort Coolidge, Viaggi nelle Alpi del geologo francese Déodat de Dolomieu, Il Grande Monte Rosa e le sue genti e quel piccolo gioiellino che è Lettere su di un popolo di pastori nelle Alpi (1779) del governatore valligiano Karl Viktor Von Bonstetten, parente prossima della celebre Lettera ai contadini sulla povertà e la pace (1938) di Giono.
«Apprezzare la selvaggia desolazione del mondo incantato delle Alpi e i suoi magnifici paesaggi» sosteneva Von Bonstetten, ed è questa la dimensione primaria di tanti romanzi, resoconti, saggi che hanno per sfondo e protagonista l’aridità, la ruvidità dell’esistere ad alta quota, la quale gode, per contro, di un benessere estetico-estatico che riduce le esigenze della vita e avvicina la dimensione di questo abitare a quella del monaco e dell’eremita. Se non si cede ad una lucida pazzia, come ripeteva Giono.
Il popolo germanico dei Walser è stato fra gli argomenti più tracciati dallo studioso varesino Luigi Zanzi (1938-2015), e ancor più dal milanese Enrico Rizzi (1950).
Se è un fatto, come scrive Piero Chiara (1913-1986), che le montagne sono state pensate, per lungo tempo, come «un incidente geologico», una distrazione del Creatore, gli uomini impararono a frequentarle per motivi militari e soltanto dal VII-VIII secolo, ma con più decisione dal XII, iniziarono ad essere addomesticate.
Fra i primi coloni vi furono i Walliser, poi Walser, ovvero i vallesani, un nome-emblema, «un nome che definisce l’idea di una forma di vita felicemente inventata per resistere nella vicenda estrema dei tentativi di civilizzazione dell’alta montagna» come sostiene Zanzi.
Il volume si avvale di uno splendido corredo fotografico ed iconografico, affronta questioni architettoniche, usi e costumi, lingua, letteratura, ospita contributi di Reinhold Messner (1943) e Teresio Valsesia (1940), ideatore di Camminitalia, nonché un prezioso quanto commovente intervento in versi della poetessa formazzina Anna Maria Bacher (1947), selezione dalle sue sette raccolte di liriche: «La montagna guarda / i giovani / aggrappati alle sue pendici, / li vede, senza fortuna, / scivolare già / fino alla città. // Non c’è appiglio. // Piange la valle, / non può assistere / al morire / delle sue frazioni» (La valle piange). La storia cammina col passo degli uomini.
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