Dewitza è «una ormai dimenticata divinità dei boschi sacri e delle foreste più antiche e selvagge del centro e nord Europa (…); il termine vizza è ancora in uso nelle nostre montagne per indicare un’area molto fitta, quasi impenetrabile, oppure un bosco poco o mai tagliato dall’uomo. In origine potrebbe essere stato lo spirito femminile custode delle foreste sacre». Così Toio de Savorgnani spiega il sottotitolo Vizza Dewitza Canseia che ha dato al suo libro Cansiglio, la foresta maestra. Un testo che ha per guida il genius loci di questi antichi luoghi nel cuore del Veneto, sulle Prealpi bellunesi. C’è un ulteriore sottotitolo: Manuale di sopravvivenza in attesa dell’età dell’oro.

PROCEDE PER EPISODI, ricchi di memorie e personaggi, il bagno di foresta dell’autore, che nel Cansiglio lavora e milita da molti decenni. Prima con il Corpo forestale, poi con l’Azienda regionale delle foreste ma sempre – insieme a diverse associazioni – come difensore della montagna e delle sue creature. Si definisce «anacronistico uomo dei boschi», che frequenta «gente un po’ strana e sempre in ricerca di risposte alternative e interpretazioni originali». Alla radice della sua sete di scoperta, le tracce dell’infanzia spartana nella casa di legno in mezzo agli alberi, ma senza dimenticare un antenato che scalzo e disarmato alla fine del 1800 risalì il fiume Congo.

Toio de Savorgnani agisce comunque in modo prudente, anche se in gioventù una scalata dell’Himalaya per poco non gli costò la vita, a causa di una tormenta. Invece il Cansiglio è più misterioso che pericoloso. Ospita cose speciali, come il Bus de la Lama che nel 1800 era ritenuto la cavità più profonda della Terra (ma alla fine il fondo fu toccato a 185 metri), o l’anomala torbiera del Lamaraz, o quella di Palughetti, dove si sono trovate pigne di 14000 anni fa.

FENOMENI NATURALI, leggende che si tramandano e fatti storici vengono come repertoriati, affinché non siano dimenticati e nemmeno ridotti a folclore. Ecco allora il ricordo di un gruppo di 15 donne e 2 uomini messi al rogo per stregoneria a Cavalese 5 secoli fa. Erano guaritori, perseguitati eredi di antiche tradizioni benefiche. Del resto, in giro per il mondo e nelle diverse epoche, i regali dalla natura sono numerosi e vanno dalle terapie energetiche alle acque balsamiche, dalle erbe medicinali a pietre oggetto di pellegrinaggi in caso di malattie. E tutto intorno «parla e dialoga il gran popolo dei fili d’erba», per citare un verso di una poesia di Toio de Savorgnani.

LA NATURA DOVREBBE insegnarci a maturare una coscienza collettiva, quella dell’«umanità intera che coopera per l’evoluzione sia del genere umano che del pianeta, cosciente di essere un’unità inscindibile»; «o almeno, è bello sperarlo». Altrimenti, ci aspetta la sesta estinzione. E bisogna anche fare presto, perché, «la strada è lunga, non sedetevi sul ciglio ma procedete».

Comunque, auspica l’autore, «nel prossimo futuro assisteremo al tracollo del capitalismo occidentale e del suo ormai morente mito dello sviluppo illimitato basato solo sull’economia, sulla speculazione e sullo sfruttamento umane o naturale. La sua illusione di aver vinto durerà ancora per poco perché è una visione del mondo arrivata al capolinea».

IN UN CAPITOLO FRA IL MAGICO e lo scientifico si parte dal Dna per arrivare, seguendo studi di biologi molecolari, alla responsabilità attiva che ognuno deve sentire, per l’altrui e il proprio benessere, per la salute sia fisica che mentale. Del resto nella lingua Lakota la frase Mitakwie Hoyaisin – ovvero «io e tutti i miei parenti» – non si riferisce solo agli umani consanguinei, ma a tutti i viventi biologici, animali e vegetali, a tutto ciò che esiste e viene percepito dai nostri sensi.

«Io credo che una visione del mondo diversa dalla nostra e legata di più alla sensibilità verso le molte forze che agiscono su di noi e nell’ambiente dove viviamo, ci potrebbe aiutare a comprendere, per fare in ogni momento la scelta giusta e, in condizioni particolarmente difficili, per riuscire a sopravvivere».