A dieci giorni dal 25 settembre l’ombra dell’astensionismo continua a mobilitare un po’ tutti i protagonisti di queste elezioni, che si lanciano in accorati appelli agli elettori tentando, con più o meno valide motivazioni, di convincerli a recarsi alle urne. I sondaggi – pubblicati fino al 10 settembre, quando è iniziato il divieto di diffusione nei 15 giorni precedenti al voto – sembrano concordi nel delineare uno scenario critico: il 35% degli aventi diritto potrebbe decidere di non votare, segnando il livello di partecipazione più basso alle elezioni politiche della storia Repubblicana. Tra loro rientrano anche i cosiddetti «astensionisti involontari» che, per impedimenti fisici e materiali, non possono recarsi alle urne. Di questi, 4,9 milioni sono studenti e lavoratori fuori sede.

Complessivamente rappresentano il 10% del corpo elettorale e, contrariamente a quanto previsto dalla Costituzione, vedono ancora ostacolata «l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del paese». Il 25 settembre dovranno decidere se affrontare un viaggio di ritorno al proprio comune di residenza o, più facilmente, non votare affatto. Gli sconti e le agevolazioni per l’acquisto di biglietti di treni e aerei – che, dato il rialzo della domanda, hanno già in partenza prezzi più alti della media – rappresentano una risposta parziale e inefficace a un problema più ampio.

Oltre 1,9 milioni di fuorisede – denuncia il Libro Bianco sull’astensionismo voluto dal ministro per i Rapporti con il parlamento Federico D’Incà – impiegano più di quattro ore per raggiungere la propria città di residenza. I più penalizzati sono, inevitabilmente, gli abitanti del sud e delle isole, dove l’incidenza sul corpo elettorale di chi deve tornare a casa «da fuori» è rispettivamente del 5,8% e del 6%. Una quota significativa, che deve fare i conti con l’inadeguatezza dei trasporti nazionali: in Sicilia e Sardegna circa la metà dei residenti fuorisede deve trascorrere, tra andata e ritorno, più di 12 ore in viaggio.

Si tratta per lo più di giovanissimi studenti universitari o giovani lavoratori, che non vogliono o non possono far congiungere comune di residenza e domicilio. Eppure, nonostante la campagna elettorale sia stata segnata dallo sbarco dei principali esponenti di partito su TikTok e altri maldestri tentativi di racimolare consensi da questa fascia dell’elettorato, la politica continua a dimenticarsi di rendere le modalità di voto agevoli per tutti. Una mancanza ancora più grave se si considera che le elezioni del 25 settembre segneranno l’esordio di 4,7 milioni di giovani nel voto al senato, dopo che la legge del 18 ottobre 2021 ha modificato il limite minimo d’età, precedentemente fissato a 25 anni.

Ma quali partiti hanno più da perdere dall’astensionismo giovanile? Sulla base di alcuni sondaggi, tra cui quello realizzato da Cluster 17 per il Fatto Quotidiano, la previsione di voto per la fascia d’età dai 18 ai 24 anni vede un una netta preferenza per il centro-sinistra. Tra i neo elettori la prima scelta sarebbe il Pd con il 20% delle preferenze, seguito dal M5s, dai rosso-verdi e dal partito di Calenda. La forbice con le formazioni di destra sarebbe più ampia che nelle altre fasce d’età.

Secondo Dario Tuorto, professore di Sociologia all’Università di Bologna, lo schieramento a sinistra non sarebbe, però, così schiacciante, soprattutto se confrontato al passato. «Non sono certamente i risultati degli anni ‘90, quelli di Rifondazione comunista. Il voto è ancora a sinistra, ma non è così netto. C’è questa grande persistenza del Movimento 5 stelle che va interpretata.» Il voto giovanile, precisa, è tutt’altro che estremista, anche perché non ha la possibilità di esserlo. «Non c’è uno sfogo verso formazioni assimilabili ai partiti Verdi del Nord Europa, che rappresentano un’alternativa di voto. Questo spiega anche perché il Pd continui a essere un’opzione valida in Italia, mentre in altri Paesi il voto dei giovani ai socialisti è bassissimo». L’ancoraggio al Pd sarebbe rintracciabile nella presenza di una quota – limitata, ma più significativa che in altri partiti – di giovani candidati. Niente a che vedere, però, con la capacità di mobilitazione dei partiti Verdi europei, che, per i temi in agenda e la possibilità concreta di intervenire al governo, si presentano agli occhi dei più giovani come un’alternativa di voto realistica e praticabile.

L’evidente scollamento dei partiti italiani dalle istanze e dai temi nodali dell’elettorato giovanile alimenta una tendenza all’astensionismo già in atto da tempo. «È un aumento che viene rilevato da diversi anni, per quanto il dato di astensionismo di partenza non fosse altissimo. Vivere in famiglia consente sempre di avere un contesto di riferimento a cui agganciarsi e stabilizza le scelte di voto.» Ma se l’astensionismo è in crescita per tutte le fasce d’età, quella dai 18 ai 24 subisce l’aumento maggiore dal 1992.

Il posizionamento dei più giovani è certamente più complesso da intercettare – commenta Tuorto – dal momento che questi non si muovono all’interno di organizzazioni strutturate come sono, ad esempio, i sindacati. Eppure, i temi di riferimento sono pochi e chiari: ambiente, attenzione alle disuguaglianze e, sempre in testa, lavoro e precarietà. Argomenti relegati ai margini delle campagne elettorali, dove primeggiano, invece, tasse, pensioni e immigrazione, più cari all’elettorato che nel paese registra il maggior peso demografico: quello degli over 55.

In questo quadro di disillusione e sfiducia, i limiti imposti ai fuorisede appaiono ancora più problematici, escludendo a priori dal voto anche coloro che vorrebbero prenderne parte. Le proposte di legge per arginare le perdite di questa categoria di elettori si sono succedute negli ultimi anni e sono arrivate da fronti diversi, ma nessuna ha ancora prodotto risultati. L’ultima in lavorazione arrivava dal Pd, con un disegno di legge presentato da Marianna Madia e calendarizzato per luglio, ma è stata frenata dalla caduta del governo.

Così, insieme a Malta e Cipro, l’Italia non ha una legge apposita. Diversi paesi consentono il ricorso al voto per corrispondenza o in un luogo diverso da quello di residenza, altri ancora il voto anticipato nel comune di residenza o nel domicilio. L’Estonia permette persino di votare telematicamente. Tutte modalità proposte anche in Italia, ma frenate con la motivazione che ciascuna presenti il rischio di violare i principi della libertà e personalità di voto o della sua segretezza.

Eppure la possibilità di votare per delega o per corrispondenza è già concessa a chi risiede temporaneamente o stabilmente all’estero – se inserito nei registri dell’Aire, Anagrafe Italiani residenti all’estero -, mentre militari e forze dell’ordine hanno facoltà di recarsi alle urne nel proprio domicilio.

Anche quest’anno la petizione del comitato civico iovotofuorisede – rilanciata da Emma Bonino e Riccardo Magi di +Europa – continua a raccogliere consensi e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di una una legge che garantisca e tuteli il diritto di voto dei cittadini che vivono lontano dalla loro residenza. Ma per il voto del 25 settembre è di nuovo troppo tardi per agire. Milioni di fuorisede dovranno sperare, ancora una volta, nelle prossime elezioni.