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Voti e affari, le ’ndrine all’assalto dei comuni tra Roma e Latina

Voti e affari, le ’ndrine all’assalto dei comuni tra Roma e LatinaComune di Nettuno

L'inchiesta Tritone I pm teorizzano l'esistenza della Quinta mafia: un network tra clan, pezzi di politica, imprenditori, e professionisti

Pubblicato circa un mese faEdizione del 16 ottobre 2024

Secondo l’inchiesta Tritone e le ultime requisitorie del relativo processo di primo grado in corso presso il Tribunale di Velletri, per alcuni consiglieri comunali, assessori e sindaci del centrodestra di Anzio, Nettuno e Aprilia era del tutto «normale» rivolgersi alle mafie per farsi eleggere. Accordi di quella che viene definita Quinta mafia, un network criminale organico composto da varie mafie, pezzi della politica, dell’imprenditoria, della pubblica amministrazione e delle libere professioni locali.

I comuni di Anzio e Nettuno erano stati sciolti per infiltrazioni mafiose già a novembre 2022 e sono entrambi ancora sotto commissariamento prefettizio (Nettuno per la seconda volta dopo lo scioglimento del 2005), mentre Aprilia, città della provincia di Latina, rischia la medesima sorte nelle prossime settimane. Malgrado le dimissioni in massa dei consiglieri comunali dopo l’arresto del Sindaco Leonardo Principi, in carica da appena un anno, lo scorso agosto è stata nominata dal prefetto di Latina, Vittoria Ciaramella, una Commissione di accesso agli atti del comune la cui relazione conclusiva è attesa a breve.

I pm, intanto, hanno chiesto condanne per 240 anni complessivi per gli imputati accusati di essere i capi e gli affiliati delle ‘ndrine collegate alle famiglie Madaffari, Perronace, Tedesco e Gallace, tutte originarie di Santa Cristina d’Aspromonte e di Guardavalle (provincia di Reggio Calabria). Organizzazioni mafiose che, oltre a procurare voti ai singoli candidati, hanno organizzato anche apposite liste di appoggio agli aspiranti sindaci. Altrettanto «normale» era diventato il luogo dove avvenivano le riunioni per stabilire liste e preferenze: l’abitazione del boss Perronace, impossibilitato a uscire di casa perché agli arresti domiciliari.

Abitazione che era diventata luogo di visite, tra gli altri, dell’ex senatore Candido De Angelis (già Dc, Pdl, Futuro e Libertà e ora Fratello d’Italia), a suo tempo vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul traffico dei rifiuti e poi sindaco di Anzio anche, a quanto pare dall’indagine, grazie all’appoggio ‘ndranghetista. Dalle relazioni prefettizie risulta che, dopo l’esperienza parlamentare, De Angelis aveva tentato di tornare a fare il sindaco nel 2013 con l’appoggio del neo costituito Fdi, della Destra di Francesco Storace e di alcune «liste civiche». Aveva però perduto al ballottaggio contro il sindaco uscente Luciano Bruschini, sostenuto dagli altri partiti del centrodestra e da ulteriori «liste civiche».

Ottenuto l’appoggio ‘ndranghetista, sempre secondo atti istituzionali, sarebbe tornato a fare il sindaco nel 2018, tanto che la Direzione distrettuale antimafia e i carabinieri di Roma stanno indagando anche per voto di scambio. Come ha spiegato il pm del processo Tritone, Giovanni Musarò, sono proprio i capi delle famiglie malavitose a indicare direttamente i candidati da mettere in lista. C’è un altro aspetto che rende questa inquietante vicenda di interesse nazionale e riguarda la genesi del potere delle ‘ndrine alle porte di Roma. La mattina del 30 aprile 1999, ad esempio, «prendeva moglie» Giuseppe Gallace, figlio di Vincenzo.

L’appuntamento per le celebrazioni era allo Scacciapensieri di Nettuno, grattacielo adibito ad albergo-ristorante edificato negli anni Sessanta. Buona parte degli invitati veniva dalla Calabria mentre gli ospiti più prestigiosi giungevano dalla Lombardia: c’era Domenico Barbaro, detto l’australiano, che coi fratelli Papalia e la famiglia Paparo era diventato il nuovo «padrone» dei comuni di Buccinasco e Corsico (periferia di Milano), i fratelli Vincenzo e Annunziato Mandalari che con la loro ‘ndrina si erano insediati in molti comuni dell’hinterland milanese anche grazie ai loro legami con la massoneria attraverso Giuseppe Mandalari, conosciuto come il commercialista di Totò Riina e Gran Maestro dell’Ordine, e Carmelo Novella, ritenuto all’epoca il capo di tutte le ‘ndrine della Lombardia, ammazzato nel 2008 a San Vittore Olona perché «secessionista» e, secondo le risultanze del processo Operazione Infinito, sostituito proprio da Vincenzo Mandalari.

L’obiettivo era replicare nel Lazio il sistema lombardo, con riferimento al commercio di droga, riciclaggio, detenzioni e porto illegale di armi, appalti pubblici, affari immobiliari, attività commerciali, intestazione fittizia di beni, estorsioni e sfruttamento dell’immigrazione. Seguivano nuove alleanze con gruppi emergenti della criminalità locale, come il clan Casamonica/Spada/Di Silvio. Intanto, anche su questa vicenda, il governo Meloni tace.

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