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«Vota Giorgia» il 1 maggio: Nasce il bonus «pagherò»

«Vota Giorgia» il 1 maggio: Nasce il bonus «pagherò»L’aula del consiglio dei ministri – foto Ansa

Il governo ha varato il «decreto coesione». Per problemi di coperture i 100 euro promessi oggi ai lavoratori dipendenti slittano all’epifania 2025

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 1 maggio 2024

Al primo maggio di quest’anno il governo Meloni è arrivato impreparato. Non ha potuto riabolire il «reddito di cittadinanza», come ha fatto l’anno scorso, né ha potuto alludere alle centinaia di migliaia di esclusi tra chi già beneficiava di quel «reddito» dalle misure che lo hanno sostituito: l’«assegno di inclusione» e il «sussidio per la formazione e il lavoro». Allora ha provato a lanciare una misura dal sapore elettorale (le europee sono tra 40 giorni): un regime fiscale sostitutivo per la tredicesima mensilità da 100 euro ai lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore ai 28 mila euro con coniuge e figli a carico.

DURANTE LA SETTIMANA trascorsa, e in vista del consiglio dei ministri che ieri ha varato un nuovo decreto «salsiccia» chiamato «coesione», l’esecutivo si è accorto di non potere contare su una copertura stimata di 100 milioni di euro per finanziare il bonus. Ci si è resi conto che, alla fine di aprile, è difficile prevedere gli incassi del concordato preventivo che dovrebbero finanziare i 100 euro. I dati presumibilmente arriveranno a dicembre. La soluzione è stata trovata e, scoprendo un gioco grottesco ormai palese, è stata confermata ieri dal consiglio dei ministri. Il bonus risicato, e per pochissime persone, ci sarà. Ma sarà erogato dopo Natale, forse dopo la befana. Ci si chiede per quale ragione sia stato annunciato… il primo maggio. La risposta è: «vota Giorgia».

Questi fantomatici 100 euro nella tredicesima erogato a gennaio non andranno agli incapienti con un reddito inferiore a 8500 euro Maria Cecilia Guerra (Pd)

PER CAPIRE L’ENTITÀ della cifra stanziata per il bonus, e della sua platea potenziale, basta citare una misura simile: il bonus degli 80 euro di Renzi, poi portati a 100 euro. Allora il fondo di partenza fu di quasi 7 miliardi di euro. Cifre impossibili oggi per un governo che sta aspettando l’avvio della procedura di infrazione per deficit eccessivo da parte della Commissione Europea, dopo le elezioni del 9 giugno. Il ciclo economico è completamente diverso. Ed è stato deciso che, dopo il Covid, i bonus devono essere «mirati».

LA RESPONSABILE lavoro del Partito Democratico Maria Cecilia Guerra ieri ha sostenuto che i cento euro non andranno a chi tra rientra nella platea ritagliata dal governo è «incapiente», cioè possiede un reddito inferiore a 8500 euro: «Non lo avete mica detto, me lo sono dovuta leggere nel comunicato stampa» ha scritto su X.

NEL VARIEGATO DECRETO varato c’è di tutto: il riordino dei fondi di coesione la cui gestione sarà accentrata da Palazzo Chigi, complicando la vita già non facile degli enti locali che non riescono a spenderli. Parliamo di una partita da 74 miliardi di euro. Ed è prevista una pioggia di bonus e incentivi come quella che finanzia uno sgravio contributivo del 100% per due anni entro i 650 euro a Sud nella nuova «Zes unica». E poi c’è la «maxi deduzione al 120%» che sarà maggiorata al 130% per i giovani, le donne ed ex beneficiari del reddito di cittadinanza. Questi ultimi sono stati esclusi dal governo l’anno scorso, pensando che una simile soluzione potesse spingerli a cercarsi un lavoro. Quest’anno, nel nuovo «pacchetto primo maggio», la soluzione pensata dal governo è stata quella di pagare le imprese, attraverso uno sconto sui contributi, pensando che queste ultime abbiano bisogno di persone senza una formazione adeguata e lontane da tempo da un’occupazione. Senza contare la possibilità che questi soldi possano andare a imprese che hanno già preventivato di assumere qualcuno. Questo problema è stato sollevato qualche giorno fa dall’economista dell’Ocse Andrea Garnero.

Come sempre accade, anche questo governo rispolverà la vecchia politica degli incentivi senza fare un bilancio degli effetti che hanno avuto quelle precedenti. Una soluzione che contrasta con quanto ha detto a Pescara qualche giorno fa Raffaele Fitto, il ministro delegato al Pnrr che ieri ha presentato il nuovo decreto, disse: «La spesa pubblica in Italia nel 2019 era pari a 810 miliardi di euro. Nel 2022 era di 1.084 miliardi di euro. Sono circa 300 miliardi di euro spesi in cosa? Purtroppo la maggior parte in bonus e super bonus che hanno aumentato il debito e che non hanno inciso in nessun modo sullo sviluppo e la crescita del Paese. Questi non sono dettagli rispetto a quello che si dovrà andare a fare nei prossimi mesi e nei prossimi anni». La polemica era contro il costosissimo superbonus «dei Cinque Stelle».

IL RAGIONAMENTO non vale per i bonus di entità senz’altro più modesta come quello dei 100 euro. E, forse, dovrebbe valere anche per il «taglio del cuneo fiscale»: 10 miliardi a carico dei contribuenti per finanziare altri 100 euro per una platea più ampia dei lavoratori dipendenti. ro. ci.

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