Volker Schlöndorff, il futuro appartiene all’Africa
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Volker Schlöndorff, il futuro appartiene all’Africa

Bifest Il celebre regista da quest'anno presidente del festival barese ha presentato il suo film-saggio «The Forest Maker»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 aprile 2023

The Forest Maker di Volker Schlöndorff è stato presentato in chiusura del Bif&st (29 marzo-1 aprile) alla presenza del celebre regista da quest’anno presidente del festival. Il film, presentato come «film saggio» nei titoli di testa, racconta l’azione di Tony Rinaudo agronomo australiano (di origine italiana) arrivato in Niger ventenne con l’idea di aiutare i contadini africani a fermare il deserto attraverso la rigenerazione degli alberi, una lotta che dura anni, ma che già ha portato i suoi frutti dopo la sua scoperta che sotto la superficie arida e desertica c’è una foresta di radici che possono riprendere vita, milioni di arbusti che possono rinascere, dare ombra e frutti e fermare le tempeste di sabbia.

Il processo di rigenerazione si forma con le foglie cadute al suolo, seguita dall’azione delle formiche e della pioggia che non si disperde ma rinnova l’humus della terra che diventa coltivabile in un periodo di tempo di dieci anni. Con una tenacia che ricorda quella di Johnny Appleseed e i suoi alberi di mele, l’azione di Rinaudo ha portato i suoi insegnamenti paese dopo paese subsahariano, villaggio dopo villaggio.

Dal successo di questo processo è nato il progetto della «Grande muraglia verde», l’idea di una foresta posizionata in orizzontale a tagliare l’intero continente da Dakar a Djibuti, progetto difficile da realizzare perché di portata faraonica e sulla cui fattibilità gli scienziati sono scettici, ma non impossibile se si decide di procedere a tratti, basterebbe un mosaico di terreni verdi per fermare il Sahara che avanza verso il sud.

Dice Schloendorff: «Sono arrivato in Africa pessimista e ne sono ripartito ottimista perché c’è tanta volontà e fiducia nel futuro. Siamo messi peggio in Europa con il nostro pessimismo. Le soluzioni ci sono ma non sono applicate, i giovani africani hanno progetti giganteschi e non vogliono le soluzioni semplici che potrebbero attuare gli stessi contadini, con il loro ettaro di terra. Ma queste soluzioni non interessano né i governi né l’Europa. Per uscire dalla trappola della povertà sarebbe necessario ascoltare l’insegnamento degli esperti».

In The Forest Maker sono inseriti brani di film di cineasti locali come Les larmes de l’émigration di Alassane Diago, Les charbonnieres e Éloge des mils (elogio del miglio) di Idriss Diabaté: le lacrime delle donne che sono rimaste sole dopo che figli e mariti sono emigrati ormai da vent’anni e soprattutto il loro lavoro per raccogliere l’acqua spesso da un’unica fonte per tutto il villaggio (mentre con la forestazione si possono ripristinare anche le fonti). O sono impegnate nella fabbricazione del carbone artificiale nell’idea errata che la cenere renda la terra produttiva. Gli uomini per lo più, quelli rimasti, stanno a guardare o a chiacchierare per non perdere il loro status, si tratta di scene canoniche del cinema africano.

Si mostra un villaggio dove un solo pannello solare serve per ricaricare tutti i cellulari, dopo di che arriva il buio per le successive dodici ore e i ragazzi (spesso non le ragazze) studiano a lume di lampade a cherosene: «non c’è luce per il 70% della popolazione, come mai non riusciamo a elettrificare l’Africa? si chiede Schloendorff ricordando le campagne rivoluzionarie per l’elettrificazione completa dell’Urss. «Questo cambierebbe tutto», dice.

Ma sono possibili i cambiamenti? Presente all’incontro il prof. Antonio Pasini scienziato del Cnr che fa parte del progetto europeo della stazione di monitoraggio al polo nord sottolinea che: «Tra il deserto del Sahara e il sud non è che non piova mai, ma il suolo è duro come l’asfalto e non si può piantare nulla, il deserto si mangia un po’ alla volta la terra, ecco perché si è pensato di fare una muraglia verde per recuperare quei terreni che vanno trasformati sia per il clima sia per le persone che vivono lì per usufruire di un’economia non di sola sussistenza. Ma i soldi per le grandi opere spesso finiscono prima, ci vogliono aiuti internazionali e una spinta dal basso per attivare i governi. Ci sono messaggi fondamentali nel Rapporto sui cambiamenti climatici, siamo responsabili e possiamo agire per il cambiamento, lo dimostra l’azione dell’agronomo australiano. Lui fa cultura, va nei villaggi, riscopre qualcosa che c’era prima della deforestazione. La responsabilità è dell’uomo, ma quale uomo? I responsabili sono i paesi occidentali, i meno responsabili sono quelli che subiscono i danni del riscaldamento globale.

Ho scritto un libro sul flusso migratorio nella fascia del Sahel, un acceleratore di problemi perché la mancanza di risorse porta all’emigrazione e negli ultimi 50 anni l’acqua si è ridotta portando al conflitto tra agricoltori e allevatori. In questo mondo globalizzato non ci sono vincitori e vinti, si vince e si perde insieme». Sintetizza Schloendorff: «A volte Tony Rinaudo mi ha fatto pensare a don Chisciotte con le sue bellissime idee. Lui dice: faccio questo lavoro da 40 anni e almeno 40 paesi applicano il mio metodo. Ma in modo molto limitato e di tempo non ce n’è più, non abbiamo cento anni a disposizione.. Però le condizioni ci sono, per questo sono diventato attivista, per portare questo messaggio»

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