Vogliamo un Nobel come presidente: i ribelli dicono Yunus
BANGLADESH Gli studenti che hanno messo in fuga l’autocrate Hasina dicono no a un governo militare. E scelgono il banchiere del microcredito
BANGLADESH Gli studenti che hanno messo in fuga l’autocrate Hasina dicono no a un governo militare. E scelgono il banchiere del microcredito
«Non accetteremo nessun governo diverso da quello indicato da noi studenti. No ai militari al governo, no a un governo sostenuto dai militari. Nessun governo di fascisti sará accettato».
Nahid Islam, uno dei volti più noti del movimento studentesco che ha rivoluzionato la storia del Bangladesh, ha le idee chiare. Ieri, il giorno successivo alle dimissioni e alla fuga in India della prima ministra Sheikh Hasina, ha annunciato al pubblico le decisioni degli studenti. Così politicamente scaltri da aver individuato proprio nel simbolo della repressione da parte del defunto regime dell’Awami League il volto del Bangladesh che verrà. Si tratta dell’economista e premio Nobel Muhammad Yunus, 84 anni, di cui sulle pagine di questo giornale abbiamo raccontato nei mesi scorsi le traversie giudiziarie, volute da Hasina che nei suoi 15 anni al potere era riuscita a piegare il ramo giudiziario ai propri interessi di parte.
Alta credibilità interna e fortissime credenziali internazionali, figura di garanzia, Yunus ha accettato di amministrare il governo a interim che dovrebbe essere annunciato nelle prossime ore. Mentre scriviamo, alcuni portavoce degli studenti sono riuniti nella ex residenza ufficiale di Sheikh Hasina a Dacca, presa d’assalto lunedì dai manifestanti. Con loro, il presidente del parlamento Mohammad Shahabuddin, che ieri ha sciolto la sola Camera del Bangladesh.
GLI STUDENTI rimarranno mobilitati fino all’annuncio del nuovo governo, ma scalpitano. Ieri è stata una giornata di festeggiamenti, una “seconda liberazione” dopo quella dal Pakistan nel 1971, l’hanno definita molti, ma anche una giornata di incendi, ritorsioni e morti. Il terremoto creato dalla fuga di Hasina fa ancora tremare il Paese. Serve stabilità, serve rimettere ordine, ripetono gli studenti. Che hanno formato un Comitato per proteggere i beni pubblici e l’armonia tra le comunità. I volontari hanno ripulito il parlamento, anch’esso in precedenza occupato dai manifestanti, presidiano i luoghi di culto, proteggono le minoranze religiose. E assicurano che rispetteranno «l’impegno per un nuovo Bangladesh, fondato sul nostro sangue e sui nostri martiri».
Ma il vecchio Bangladesh non scomparirà da un giorno all’altro. Rimangono da affrontare anni di ingiustizie e violenza istituzionalizzata. Mahbub Uddin, a capo dell’associazione degli avvocati della Corte suprema, ha chiesto al governo indiano di arrestare Sheikh Hasina e rispedirla in patria, insieme a sua sorella e al suo consigliere per la difesa e la sicurezza, il generale Tarique Ahmed Siddique. L’ex ministro degli esteri Hasan Mahmud è stato arrestato all’aeroporto di Dacca. Il sindacato di polizia del Bangladesh chiede perdono per l’uso della violenza contro i civili, causato – cosi si difendono – dagli ordini del governo. E nell’esercito arrivano i primi siluramenti significativi, come quello del generale Ziaul Ahsan, giá a capo del famigerato Rapid Action Battalion, il battaglione prima addestrato poi sanzionato per abusi dal governo Usa.
L’Onu, le cancellerie straniere e le organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, raccomandano: si dia priorità ai diritti umani, si evitino gli errori passati. Ma la violenza sedimentata in questi anni ha messo radici profonde. Tra le immagini più toccanti e significative di queste ore convulse che hanno visto anche la fine degli arresti domiciliari per l’antagonista storica di Sheikh Hasina e leader del partito d’opposizione Khaleda Zia, quelle che riguardano i famigliari delle vittime di sparizioni forzate, una pratica diffusa durante il regime di Sheikh Hasina, insieme alle detenzioni arbitrarie e alle esecuzioni extragiudiziali. Spesso uomini e ragazzi, a volte donne, spariti per mesi e anni nel buco nero costruito da apparati di sicurezza trasformati in forze illegali di repressione. Alcuni di loro hanno finalmente potuto riabbracciare le famiglie. Altri non ancora.
IERI I MEMBRI dell’associazione Mayer Daak, che riunisce molti familiari di persone sparite e che in questi anni ha subito l’ostracismo del governo, si sono riuniti di fronte alla sede dell’intelligence a Dacca. Con loro, quei coraggiosi attivisti, come il fotografo Shahidul Alam, che non hanno mai piegato la testa. «Domani daremo informazioni precise», hanno fatto sapere i membri dell’intelligence. Nei prossimi giorni, qualcuno di loro riabbraccerà i propri cari. Altri ne piangeranno la morte e continueranno a chiedere giustizia.
IL NUOVO Bangladesh dovrà fare i conti con le vittime del vecchio Bangladesh. La transizione verso la democrazia sarà difficile e passerà inevitabilmente per il nodo della giustizi. Muhammud Yunus si è detto pronto ad accogliere l’invito degli studenti, a proseguire la transizione verso la democrazia. Ma la strada è molto lunga.
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