Un momento della Via Crusis al Colosseo foto Ansa
Internazionale

Voci di pace ucraine e russe in un mondo di guerre

Un momento della Via Crusis al Colosseo – Ansa

Via crucis senza il papa ma con il suo programma Alla X stazione la Santa sede conferma la sua posizione no-war. L’ira di Kiev. Al Colosseo anche un migrante arrivato in barcone. «Chi fugge dai conflitti porta la mia stessa croce»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 aprile 2023

Le guerre e le sue vittime, i migranti nuovi crocefissi del nostro tempo: sono stati i protagonisti della tradizionale Via crucis del venerdì santo che si è svolta ieri sera al Colosseo.

Papa Francesco, reduce da una bronchite infettiva che lo ha costretto in ospedale per tre giorni, non c’era: a causa «del freddo intenso di questi giorni» – ha informato una nota della sala stampa della Santa sede – ha seguito il rito da casa Santa Marta, in Vaticano. Ma questo non ha fatto modificare il programma, con i rifugiati di vari Paesi che hanno portato la croce, né i testi approvati dal pontefice: «Voci di pace in un mondo di guerra», testimonianze raccolte durante i suoi incontri e i suoi viaggi in luoghi «dilaniati da violenze, ingiustizie e povertà».

A COMINCIARE DALL’UCRAINA, la cui situazione di conflitto è stata evocata, alla decima stazione, dalla meditazione di due giovani, un ucraino e un russo, nel segno delle speranze di pace e, fra le righe, dell’antimilitarismo, confermando la linea diplomatica della Santa sede del dialogo con entrambe le parti.

«L’anno scorso papà e mamma hanno preso me e mio fratello più piccolo per portarci in Italia, dove nostra nonna lavora da più di vent’anni. Siamo partiti da Mariupol di notte. Alla frontiera i soldati hanno bloccato mio padre e gli hanno detto che doveva rimanere in Ucraina a combattere», dice l’ucraino. Ora siamo tornati in Ucraina, ma «c’è guerra da tutte le parti, la città è distrutta».

«IO INVECE sono un ragazzo russo… mentre lo dico sento quasi un senso di colpa, ma al tempo stesso non capisco perché e mi sento male due volte», ha fatto eco il giovane russo. «Una lettera ci ha comunicato che mio fratello più grande è morto», «tutti ci dicevano che dovevamo essere orgogliosi ma a casa c’era solo tanta sofferenza e tristezza. La stessa cosa è successa anche per papà e nonno, anche loro sono partiti e non sappiamo più nulla».

Parole che hanno scatenato le ire dell’ambasciatore ucraino presso la Santa sede, Andrii Yurash: il giovane russo «ha dimenticato di dire che i suoi parenti sono andati in Ucraina per uccidere non solo il padre del ragazzo ucraino ma tutta la sua famiglia, e non viceversa», ha dichiarato Yurash appena appreso il contenuto della testimonianza.

Un momento della via crucis a Roma, foto Angelo Carconi /Ansa

NON È SERVITO QUINDI da parte del Vaticano tenere nascosti i testi fino all’ultimo momento, per evitare le polemiche dello scorso anno, quando la decisione di far portare la croce a due donne, una russa e una ucraina, aveva innescato le reazioni indignate di Kiev, con lo stesso ambasciatore Yurash e con l’arcivescovo greco-cattolico Svjatoslav Shevchuk, oltre alla convocazione dell’ambasciatore della Santa sede da parte del governo di Zelensky e allo stop della diretta televisiva dal Colosseo in tutta l’Ucraina. E aveva costretto il Vaticano a rinunciare al testo della meditazione, sostituito da un «silenzio orante».

POI ALTRE «VOCI DI PACE in un mondo di guerra». Dalla Terra Santa: «la violenza sembra essere il nostro unico linguaggio», «viviamo insieme senza riconoscerci l’un l’altro, rifiutando l’uno l’esistenza dell’altro, condannandoci a vicenda, in un circolo vizioso senza fine e sempre più violento». Dall’Africa, dall’America latina, dal sud-est asiatico, dai Balcani, dal Medio Oriente.

Alla seconda stazione la testimonianza di un migrante dell’Africa occidentale, che raccontato la propria «via crucis» cominciata «sei anni fa, quando lasciai la mia città. Dopo tredici giorni di viaggio arrivammo nel deserto e l’attraversammo per otto giorni, imbattendoci in auto bruciate, taniche d’acqua vuote, cadaveri di persone, fino a giungere in Libia».

LÌ I TENTATIVI DI ATTRAVERSARE il Mediterraneo per raggiungere l’Italia in «più di cento persone su un gommone», il respingimento e la deportazione in Libia, «in un centro detentivo, il peggior posto del mondo», fino a una nuova traversata, il salvataggio da parte della nave di una ong e l’approdo sulla terraferma. «Perché uomini come noi devono ritenerci nemici? – la domanda senza riposta del giovane migrante –. Tante persone che fuggono dalla guerra portano croci simili alla mia».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.



I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento