C’è un passato che sembra non passare. Il 23 marzo del 1944 Roma è stata segnata dall’attentato dei Gap in via Rasella contro un battaglione altoatesino, con 32 caduti, e meno di ventiquattr’ore dopo dalla tragica ritorsione nazifascista delle Fosse Ardeatine (335 fucilati). Oggi, ottant’anni dopo, quei fatti rimangono una ferita aperta e il dibattito su essi mostra come pochi la divaricazione possibile tra l’accaduto e il ricordo. È uno dei casi in cui la memoria storica si è come scostata dalla storia vera e propria, producendo un racconto alternativo.

ORA DUE STORICI DI SPESSORE, Lutz Klinkhammer e Alessandro Portelli, hanno prodotto su questo tema il volumetto La fiera delle falsità. Via Rasella, le Fosse Ardeatine, la distorsione della memoria (Donzelli, pp. 150, euro 15). Klinkhammer è un noto studioso del fascismo e del nazismo e un esperto dell’occupazione tedesca in Italia mentre Portelli, specialista di storia orale, è autore di uno studio decisivo sulle Fosse Ardeatine. Insieme presentano adesso un testo in forma di dialogo, che si propone di condurre il lettore in un percorso che tratta i temi salienti della vicenda, ivi inclusi i processi ai militari tedeschi Kappler e Priebke, e si interroga sulle ragioni delle ricorrenti polemiche su essa.

Il risultato è quello di mettere in evidenza il senso di una ricostruzione memoriale antistorica che ha teso ad attribuire le colpe della strage delle Fosse Ardeatine ai partigiani comunisti mettendo in dubbio la moralità della resistenza.
Secondo questa lettura, a tratti egemone, Roma era allora una città soggetta ad un’occupazione nazista misurata, mantenuta in qualche modo in quiete all’ombra della neutralità del Vaticano, che dettava una linea attendista.

L’attentato di via Rasella, va letto perciò come un atto sbagliato e controproducente, criminale e di rottura, i cui autori comunisti (definiti dall’Osservatore Romano i colpevoli sfuggiti all’arresto), si sono rifiutati di consegnarsi malgrado sapessero di attivare in questo modo lo schema di ritorsione nazista di 10 vittime per ogni caduto. I partigiani, in sostanza non avrebbero dovuto compiere quell’attentato o avrebbero dovuto consegnarsi. Erano comunisti e insieme codardi.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine in questa lettura diventano così in sostanza un unico evento, retto da una logica ineluttabile di azione e reazione, mentre invece si tratta di due vicende distinte. Nell’Italia di quel tempo ci furono infatti massacri nazisti senza che vi fossero stati attacchi partigiani e attacchi partigiani senza rappresaglia.

FRA L’AZIONE PARTIGIANA e la strage (avvenuta meno di 24 ore dopo e non dopo tre giorni, come ha sostenuto la vulgata memoriale) vi fu una consapevole decisione politica e militare degli occupanti nazisti di attivare una significativa ritorsione. Essa, malgrado ciò che si è sostenuto, non era standard, nota a tutti e automatica, ma fu invece una decisione specifica presa in quel caso.

Roma era una città in guerra, segnata da bombardamenti alleati di notevole portata, da rastrellamenti di oltre mille ebrei inviati ad Auschwitz (operati anche da quel battaglione sudtirolese Bozen colpito a via Rasella), e da vari attentati partigiani contro le sedi tedesche del tribunale e del comando militare; ai posti di ristoro delle truppe nazifasciste come quello della stazione Termini o la Trattoria Antonelli in via Fabio Massimo; al cinema Barberini; al carcere di Regina Coeli e contro altri obiettivi. In totale si erano avute una cinquantina di vittime, senza che per tutto questo ci fossero state rappresaglie. In quanto alla fissazione della misura di ritorsione, poi, essa fu determinata ad hoc, poiché era diversamente disposta nei differenti contesti: in Serbia, per dire, le rappresaglie naziste si svolgevano sulla base di 100 a 1.

LA VERITÀ È CHE LA DECISIONE tedesca di usare il terrore fu presa per evitare che a Roma si riproducesse dopo lo sbarco di Anzio ciò che era già accaduto con la rivolta delle quattro giornate di Napoli dopo lo sbarco di Salerno, tra il 27 e il 30 di settembre dell’anno precedente, quando la ribellione urbana aveva favorito la conquista della città da parte delle truppe alleate. E che si riproporrà poi a Bologna, con la rivolta fallita della Bolognina, il 15 novembre del 1944, e poi naturalmente con le rivolte vittoriose di Genova, Milano e Torino, nell’aprile dell’anno seguente.

Se lo svolgimento memoriale ha avuto a Roma una particolarità tale da indurre Roberto Rossellini a non citare né via Rasella né le fosse Ardeatine nel suo film sulla capitale assediata girato appena dopo la liberazione (Roma città aperta), ciò è dovuto largamente all’ipoteca vaticana, e alla rinuncia comunista (a fronte della svolta di Salerno) di portare avanti a Roma piani insurrezionali non approvati da Badoglio.

MA LA VERSIONE MEMORIALE ha poi ripreso spazio con la nascita della Repubblica e con la contrapposizione aperta tra comunisti e democristiani. E se negli anni ’50 e ’60 il suo richiamo rimase comunque contenuto esso avrà un nuovo vigore con gli anni ’70, quando di nuovo la condanna di via Rasella (ora che la sigla Gap suonava come Gruppi Armati Proletari e non più Gruppi di Azione Patriottica), era il rifiuto del terrorismo. E ancora più di recente certe dichiarazioni confuse di membri del governo Meloni, capaci di mescolare via Rasella alle foibe e il giorno del Ricordo alla ricorrenza delle Fosse Ardeatine, hanno mostrato nitidamente come la memoria storica possa in certi casi continuare a confliggere con la storia.

Il libro sarà presentato domani a Roma, ore 18, presso Feltrinelli Librerie (via Appia Nuova 427)