Produrre elettricità senza emissioni di Co2. Ma conciliare questo impegno con il panico – soprattutto europeo – di mancare di energia a causa delle sanzioni alla Russia. I ministri dell’Energia e del Clima dei paesi del G7, riuniti a Berlino, malgrado la corsa attuale a utilizzare tutte le fonti, anche le più inquinanti, per colmare i tagli dell’energia fossile russa progressivamente sotto embargo, si sono impegnati ad avere «un settore dell’elettricità in maggioranza decarbonato entro il 2035» e a «sostenere l’accelerazione dell’uscita mondiale dal carbone», almeno la metà entro quella data. Ma una prima versione del comunicato finale, che segnalava la data del 2030 per abbandonare il carbone, è stata ritoccata per volontà di Usa e Giappone. Sul gas, resta l’utilizzazione «temporanea e mirata» nel breve periodo, a causa del problema russo. I sette paesi più industrializzati si impegnano nel medio periodo a sviluppare «rapidamente le tecnologie e le politiche necessarie alla transizione verso un’energia pulita».

LA RIUNIONE ha preso anche l’impegno di mettere fine, entro quest’anno, ai finanziamenti all’estero di progetti legati alle energie fossili, in assenza di tecnologie di cattura del carbonio. In realtà, questo impegno era già stato preso da una ventina di paesi alla Cop26 di Glasgow, l’anno scorso, tra questi anche 6 membri del G7. Mancava solo il Giappone, primo finanziatore di energie fossili al mondo (sugli 11 miliardi l’anno). C’è anche la soppressione di ogni investimento diretto nei paesi del G7 alle energie fossili «entro il 2025». Una «assurdità è stata eliminata”»per il ministro tedesco dell’Economia e del Clima, Robert Habeck, che finora permetteva di «ricompensare un comportamento nocivo per il clima con sovvenzioni». Secondo l’ong Oil Change International, dal 2018 al 2020 i paesi del G20 hanno finanziato progetti di sviluppo di energie fossili per 188 miliardi nel mondo, il più sovente attraverso l’attivazione di finanziamenti di banche internazionali per l’aiuto allo sviluppo. Il G7 però non parla di finanziamenti per i paesi poveri a favore della transizione energetica. Ma c’è l’impegno di «decarbonare» il settore stradale entro il 2030 (favorendo i veicoli elettrici) e la promessa di un’azione contro l’inquinamento prodotto dalla plastica, proteggendo almeno il 30% delle coste entro il 2030.

INTANTO, LA UE non è ancora riuscita a mettersi d’accordo sul sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, che dopo aver colpito il carbone dovrebbe imporre l’embargo sul petrolio. Una decisione dovrebbe essere presa al Consiglio europeo straordinario dei capi di stato e di governo della Ue lunedì e martedì a Bruxelles. L’Ungheria minaccia il veto, domenica c’è una nuova riunione degli ambasciatori per sbloccare la situazione. Budapest chiede soldi (15-18 miliardi per «modernizzare» la rete di approvvigionamento), la Ue finora ha proposto 800 milioni e una dilazione di 4 anni per l’applicazione dell’embargo, ma sul tavolo adesso c’è una nuova concessione a Orban: escludere dal sesto pacchetto il petrolio che arriva via pipeline (dalla Russia)