Via i monumenti «sudisti». E Trump s’indigna sul serio
Stati uniti Dopo le statue rimosse da Durham a Baltimora il presidente sbotta: «Così si cancella la storia del nostro grande paese»
Stati uniti Dopo le statue rimosse da Durham a Baltimora il presidente sbotta: «Così si cancella la storia del nostro grande paese»
Chi ha pensato che Trump potesse smorzare i toni che hanno ingolfato l’America dopo il suo esplicito sostegno ai nazisti di Charlottesville, ha avuto ieri l’ennesimo brusco risveglio coi tweet del presidente che denunciavano – questa volta sì, con vera indignazione – la rimozione di alcuni monumenti ai combattenti sudisti nella guerra di secessione.
I MEMORIALI agli «eroi confederati» sono da tempo al centro di una polemica che si è acuita negli ultimi anni e mesi.
Da parte afroamericana la richiesta di rimuovere i simboli confederati e i monumenti a chi nella guerra di secessione si è battuto per lo stato schiavista, è una antica istanza. Per i neri del sud in particolare le statue ai generali «perdenti» della guerra civile sono apologia del sistema che tutt’ora li sottopone a forme sistematiche di discriminazione e oppressione.
Questo è particolarmente vero per la bandiera del sud, l’emblema “stellacrociato” nato come vessillo di guerra per truppe che, come si disse allora, avevano bisogno di un simbolo della «divina supremazia dell’uomo bianco sull’inferiore razza di colore».
LA REAZIONE RAZZISTA al primo presidente nero ha rimesso in evidenza l’alone tossico attorno alla simbologia confederata che è catalizzatrice identitaria di un’equivoca bianchezza sudista – dal Kkk a band di southern rock tipo Lynyrd Skynyrd.
Dopo il massacro razzista compiuto da Dylan Roof in una chiesa afroamericana di Charleston due anni fa, la Carolina del Sud ha infine deciso di ammainare la bandiera sudista che come in molti altri stati ex sudisti sventolava ancora davanti ad edifici pubblici e governativi, ad istituzionale ingiuria dei propri cittadini ex schiavi.
L’ASCESA POPULISTA di Trump ha fatto precipitare ulteriormente la situazione. A giugno New Orleans ha deciso di rimuovere le statue cittadine dei generali sudisti, incontrando da subito forte resistenza e perfino difficoltà nell’appaltare i lavori per «l’obiezione di coscienza» di alcune aziende.
Molti stati hanno ora rimosso le bandiere sudiste con alcune eccezioni: in Mississippi la croce stellata fa parte della bandiera ufficiale. Lunedì una folla ha divelto una statua intitolata ai militi sudisti a Durham, North Carolina.
Due giorni fa Baltimora ha rimosso nottetempo quattro monumenti a generali del sud, Washington, Lexington Kentucky, Memphis e Birmingham Alabama hanno annunciato che vi faranno seguito.
LA GUERRA DEI MONUMENTI è indice del cortocircuito politico innescato dal trumpismo. Non sorprende dunque se il presidente che ha costruito il proprio movimento sulle pulsioni “primordiali” di un identitarismo estremo, un nuovo blut und boden in versione «redneck» mirato ad esacerbare le tensioni razziali per raccogliere consensi bianchi, si sia così decisamente schierato.
L’eliminazione «dei nostri meravigliosi monumenti sta spaccando il nostro paese, ha twittato Trump, denunciando la rimozione della «storia e cultura del nostro grande paese». «Non bisogna cancellare la storia ma imparare da essa», ha aggiunto il presidente con la fallacia di chi pretende di applicare una misura accademica a un argomento viscerale che incarna l’attuale risorgenza suprematista. E il sottile pretesto della marcia nazista su Charlottesville era appunto a «protezione» del monumento al generale sudista Robert E Lee.
SE IL RAPPORTO DI UN PAESE con la propria eredità storica può essere tema di legittimo dibattito, concretamente sulla questione sudista si è passato il Rubicone con l’adozione della “causa” da parte degli estremisti razzisti alt-right, aizzati dal trumpismo nel nome di una rivalsa bianca.
Trump e i suoi ideologhi contano esattamente su un vittimismo abilmente pilotato: «Continuate pure ad abbattere le statue – ha dichiarato Steve Bannon al New York Times – non potreste farci favore più grande».
IL RAPPORTO CON GLI STORICI «peccati originali» è centrale al progetto americano, una elaborazione problematica e incompiuta che riamane tuttavia al centro di una narrazione che promuove, almeno formalmente, il progresso dall’ingiustizia originale verso la tolleranza multiculturale.
Una narrazione che il trumpismo mira radicalmente ad invertire con incalcolabili conseguenze.
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