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Verso il baratro, Parisi: «Sul disarmo nucleare nessun progresso»

Verso il baratro, Parisi: «Sul disarmo nucleare nessun progresso»Il Doomsday Clock sul rischio di una catastrofe nucleare a gennaio 2023 – Ap/Patrick Semansky

Corse al riarmo Mai la crisi atomica è stata così vicina. L'appello di giornalisti, accademici, politici: il fisico premio Nobel anticipa l’evento di oggi alla Cgil. «Vogliamo evitare che il conflitto in Ucraina degeneri in un confronto atomico. Gli organismi sovranazionali oggi sono molto deboli, sarebbe importante irrobustirli»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 5 ottobre 2023

Oggi alle 15.30 presso la sede nazionale della Cgil in Corso Italia a Roma, si svolge un importante incontro intitolato «Fermiamo le lancette del Doomsday Clock. Cessare il fuoco e negoziare per fermare il conflitto in Ucraina e il rischio di una guerra nucleare».

Il Doomsday clock è l’«Orologio dell’apocalisse» utilizzato sin dal 1947 dal Bullettin of Atomic Scientists di Chicago per mettere in guardia dal rischio nucleare: tanto più le lancette sono vicine alla mezzanotte, tanto più gli esperti ritengono elevato il pericolo del ricorso all’atomica. Oggi, secondo il Doomsday clock, mancano appena 90 secondi al baratro e la scadenza non è mai stata così vicina nemmeno durante le crisi internazionali della Guerra Fredda.

L’iniziativa di oggi è promossa dai promotori dell’appello «Cessate il fuoco», dal Coordinamento per la democrazia costituzionale e dal comitato Europe for Peace e vede protagonista, oltre ai promotori, il fisico e premio Nobel Giorgio Parisi, da sempre schierato sul tema del disarmo.

Il professor Giorgio Parisi (foto Ansa)

Professor Parisi, come nasce l’appuntamento di oggi?

Nasce da un appello lanciato a luglio da ex diplomatici, giornalisti, parlamentari che intendeva, alla vigilia del vertice di Vilnius, evitare che il conflitto in Ucraina degeneri in un confronto atomico. L’appello è stato accolto da politici e intellettuali come Alfiero Grandi e Alfonso Gianni. La Cgil è un alleato naturale nelle mobilitazioni a favore della pace.

Si dà per scontato che la minaccia atomica arrivi solo dalla Russia. È così?

In realtà pochissimi Paesi hanno firmato dichiarazioni ufficiali per garantire che non useranno per primi l’arma atomica. Lo hanno fatto Cina e India, ma non molte altre. Negli anni ’80 e ’90 la Nato ha sempre ribadito che la reazione a un attacco avrebbe condotto anche all’uso di armi atomiche. All’epoca la minaccia veniva dal Patto di Varsavia, che non esiste più. La Nato però è sempre lì. Da anni si fanno sforzi nella direzione di un trattato che abroghi l’uso delle armi atomiche. Ma i negoziati non stanno facendo passi avanti.

Eppure sono stati firmati accordi internazionali contro la proliferazione delle armi e contro i test nucleari. Non bastano a metterci al sicuro?

Innanzitutto l’uso dell’atomica in guerra non rappresenterebbe un test. È vero, il trattato di non proliferazione è stato firmato da quasi tutti i Paesi, anche se ne rimangono fuori Israele, India, Pakistan e Corea del Nord. Prevedeva che le potenze nucleari smantellassero il loro arsenale e che quelle sprovviste rinunciassero ad acquisire armi atomiche. Però da anni la sua attuazione non fa progressi. Invece i trattati sul disarmo, come lo Start I e Start II firmati da Usa e Russia e il New Start da cui la Russia ha sospeso la partecipazione, riguardano essenzialmente le cosiddette armi «strategiche», cioè quelle trasportate da missili a lungo o medio raggio che possono colpire a grande distanza. Ma non fissano limiti su quelle tattiche. Tra l’altro cosa siano esattamente le armi «tattiche» non viene mai definito nei trattati. Diamo tutti per scontato che siano meno potenti di quelle strategiche e in media lo sono, ma questo non è necessariamente vero. Senza una definizione e una classificazione chiara è difficile monitorarne la proliferazione e lo smantellamento.

A vigilare sui trattati dovrebbero essere organismi sovranazionali. Ma anche il segretario generale dell’Onu Guterres ha ammesso che il funzionamento dell’organizzazione è a rischio.

È vero, le trattative nelle sedi internazionali ristagnano. Gli organismi sovranazionali oggi sono molto deboli. Sarebbe importante irrobustire le sedi internazionali, diventate sempre più deboli anno dopo anno. Ma anche in passato gli organismi sovranazionali hanno garantito un ordine mondiale che in realtà era stabilizzato soprattutto dalla competizione tra i blocchi.

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