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Verso il 2030, è Nato il futuro

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L'arte della guerra La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 2 febbraio 2021

La Nato guarda al futuro. Per questo il Segretario generale Jens Stoltenberg ha convocato, il 4 febbraio in videoconferenza, studenti e giovani leader dei paesi dell’Alleanza perché propongano «nuove idee per la Nato 2030».

L’iniziativa rientra nel crescente coinvolgimento di università e scuole, anche con un concorso sul tema: «Quali saranno le maggiori minacce alla pace e alla sicurezza nel 2030 e come la Nato dovrà adattarsi per contrastarle?».

Per svolgere il tema i giovani hanno già il libro di testo: «Nato 2030 / United for a New Era», il rapporto presentato dal gruppo di dieci esperti nominato dal Segretario generale. Tra questi Marta Dassù che, dopo essere stata consigliera di politica estera del premier D’Alema durante la guerra Nato alla Jugoslavia, ha ricoperto importanti incarichi nei successivi governi e venne anche nominata dal premier Matteo Renzi nel cda di Finmeccanica (oggi Leonardo), la maggiore industria bellica italiana.

Qual è la «nuova era» che prospetta il gruppo di esperti?

Dopo aver definito la Nato «l’alleanza di maggiore successo nella storia», che ha «posto fine a due guerre» (quelle contro la Jugoslavia e la Libia che invece è stata la Nato a scatenare), il rapporto traccia il quadro di un mondo caratterizzato da «Stati autoritari che cercano di espandere la loro potenza e influenza», ponendo agli Alleati Nato «una sfida sistemica in tutti i campi della sicurezza e dell’economia».

Capovolgendo i fatti, il rapporto sostiene che, mentre la Nato ha teso amichevolmente la mano alla Russia, questa ha risposto con «l’aggressione nell’area Euro-Atlantica» e, violando gli accordi, ha «provocato la fine del Trattato sulle forze nucleari intermedie».

La Russia, sottolineano i dieci esperti, è «la principale minaccia che ha di fronte la Nato in questo decennio». Allo stesso tempo – sostengono – la Nato ha di fronte crescenti «sfide alla sicurezza poste dalla Cina», le cui attività economiche e tecnologie possono avere «un impatto sulla difesa collettiva e la preparazione militare nell’area di responsabilità del Comandante Supremo Alleato in Europa» (che è sempre un generale Usa nominato dal Presidente degli Stati uniti).

Dopo aver lanciato l’allarme su queste e altre «minacce», che verrebbero anche dal Sud del mondo, il rapporto dei dieci esperti raccomanda di «cementare la centralità del legame transatlantico», ossia il legame dell’Europa con gli Stati uniti nell’alleanza sotto comando Usa. Raccomanda allo stesso tempo di «rafforzare il ruolo politico della Nato», sottolineando che «gli Alleati devono rafforzare il Consiglio Nord Atlantico», il principale organo politico dell’Alleanza che si riunisce a livello dei ministri della Difesa e deli Esteri e a quello dei capi di stato e di governo.

Poiché secondo le norme Nato esso prende le sue decisioni non a maggioranza ma sempre «all’unanimità e di comune accordo», ossia d’accordo con quanto deciso a Washington, l’ulteriore rafforzamento del Consiglio Nord Atlantico significa un ulteriore indebolimento dei parlamenti europei, in particolare di quello italiano, già oggi privati di reali poteri decisionali su politica estera e militare.

In tale quadro, il rapporto propone di potenziare le forze Nato in particolare sul fianco orientale, dotandole di «adeguate capacità militari nucleari», adatte alla situazione creatasi con la fine del Trattato sulle forze nucleari intermedie (stracciato dagli Usa).

In altre parole, i dieci esperti chiedono agli Usa di accelerare i tempi per schierare in Europa non solo le nuove bombe nucleari B61-12, ma anche nuovi missili nucleari a medio raggio analoghi agli euromissili degli anni Ottanta. Chiedono di «proseguire e rivitalizzare gli accordi di condivisione nucleare», che permettono a paesi formalmente non-nucleari, come l’Italia, di prepararsi all’uso di armi nucleari sotto comando Usa. I dieci esperti ricordano, infine, che è indispensabile che tutti gli alleati mantengano l’impegno, preso nel 2014, di aumentare entro il 2024 la propria spesa militare almeno al 2% del pil, il che significa per l’Italia portarla da 26 a 36 miliardi di euro annui.

È questo il prezzo da pagare per godere di quelli che il rapporto definisce «i benefici derivanti dall’essere sotto l’ombrello Nato».

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