Venezia, un modello per pochi. La protesta degli universitari
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Venezia, un modello per pochi. La protesta degli universitari

Fuori campus Il tema della residenzialità studentesca a Venezia è stato al centro di una ricerca, inedita e importante, portata avanti da due dottorande dell’università Iuav
Pubblicato più di un anno faEdizione del 15 luglio 2023

«Basta residenze di lusso» si legge sullo striscione del collettivo studentesco Liberi saperi critici (Lisc), srotolato a maggio davanti al Camplus San Marta a Venezia, dove una stanza può costare fino a 900 euro al mese. Lo studentato è sorto a ridosso di Santa Marta, un quartiere di case popolari tra i pochi dove c’è ancora un vero tessuto residenziale.

«Quella residenza e quel modello di abitare rappresenta tutte le contraddizioni di una città in via di spopolamento dove gli studenti non trovano casa» afferma Eleonora Sodini di Lisc. La protesta è arrivata dopo un anno di mobilitazione degli studenti per l’assenza di spazi e case. A maggio diversi soggetti pubblici tra cui il Comune e le università Iuav e Cà Foscari hanno firmato un protocollo d’intesa per il progetto «Venezia Città Campus» per promuovere Venezia come città studentesca «di respiro internazionale» per «formare e trattenere giovani talenti con conoscenze avanzate». «Il protocollo è stato comunicato solo dopo la firma: la decisione è avvenuta a porte chiuse» afferma Sodini. «È in questo contesto che ci siamo mobilitati».

A ottobre gli studenti hanno piantato le tende nel cortile di Cà Foscari e hanno redatto un documento, inviato al senato accademico, per chiedere spazi: biblioteche, mense, case. Gli studenti rivendicano il diritto di abitare la città. «Il Camplus rappresenta un’idea di residenzialità escludente ed elitaria. Gli studentati dovrebbero essere strumenti per il diritto allo studio, non mezzi di estrazione di valore. Anche per questo Venezia è sempre più una città per pochi».

Il tema della residenzialità studentesca a Venezia è stato al centro di una ricerca, inedita e importante, portata avanti da due dottorande dell’università Iuav, Valentina Rizzi e Naomi Pedri Stocco, in collaborazione con Ocio (Osservatorio civico per la casa e la residenzialità). «Abbiamo diffuso un questionario tra la popolazione studentesca e, con una percentuale di completamento dell’86%, abbiamo ottenuto 1081 risposte valide. Si tratta quindi di un sondaggio significativo. Nella parte dei commenti abbiamo poi raccolto 260 storie. Sono storie di disavventure».

A maggio le ricercatrici, insieme a Lisc e altri collettivi studenteschi coinvolti, hanno presentato i primi risultati. «I problemi che emergono sono numerosi: da quello degli studenti cacciati dalle residenze per far posto ai turisti, ai servizi inclusi nel prezzo che non funzionano, come lavatrici rotte. C’è una generale carenza di posti letto e di case disponibili. Un altro tema molto sentito è la violazione della privacy. Gli studenti sono spesso obbligati a subire visite a sorpresa dei proprietari delle case e del personale nelle residenze, ed è un problema di salute psicologica. In generale abbiamo riscontrato un senso generale di impossibilità di progettare un futuro a Venezia, di abitare la città, anche una volta terminato il ciclo di studi».

Il ruolo delle università, sotto questo aspetto, è assolutamente insufficiente. «Solo il 2% degli studenti intervistati ha trovato una soluzione abitativa tramite i servizi delle università dedicati a questo». Il quadro che emerge è di una crescente condizione di precarietà abitativa. «I proprietari delle case offrono quasi solo contratti transitori e non permettono agli studenti di prendere la residenza». Il continuo aumento dei canoni, poi, è un ostacolo quasi insormontabile per chi vuole abitare a Venezia. La ricerca sarà presentata ufficialmente in autunno. I primi risultati, però, parlano chiaro: Venezia non è una città per studenti.

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