San Luigi da Mirano non scende dallo scranno. Come c’era da aspettarsi, il primo cittadino di Venezia ha categoricamente respinto la richiesta di dimissioni avanzata dalle opposizioni ribadendo davanti al consiglio comunale la sua completa estraneità ai fatti contestategli dalla procura. Non senza qualche lacrimuccia di commozione («non è facile per me che sono sempre stato un uomo onesto…»), Brugnaro ha dipinto se stesso come un vero benefattore, un imprenditore che si è dedicato anima e corpo alla città, giungendo persino a rinunciare alla sua identità di sindaco per far risparmiare oltre 400 mila euro al Comune.

INTANTO FUORI della finestra, dietro tre cordoni di polizia, cittadine e cittadini, incavolati neri, urlavano «Vergogna, vergogna». E c’è da dire che San Luigi ce l’aveva messa tutta per farli stare a casa, questi inopportuni contestatori! Costretto, su richiesta delle opposizioni, a convocare un consiglio comunale straordinario ha scelto l’ora più improbabile del giorno più improbabile: le 10 della mattina di un venerdì di mercato, quando le strade attorno al comune sono piene di bancarelle e la viabilità interrotta.

COME SE NON BASTASSE, invece della sede naturale del Consiglio, Ca’ Farsetti a Venezia, il sindaco ha optato per una sala del comune a Mestre che non può contenere più di una quarantina di spettatori, oltre ai consiglieri. Il miracolo stavolta però non gli è riuscito e davanti alla porta del municipio si sono radunate almeno settecento persone per contestarlo chiassosamente nonostante i 30 gradi all’ombra. Contestazioni che gli sono giunte anche dalla platea, tra i fortunati che sono riusciti a entrare in sala presentandosi con almeno due ore di anticipo e che hanno sottolineato ogni frase del sindaco inquisito con urla e schiamazzi, alzando cartelli con la scritta «Dimissioni».

DALL’ALTRA PARTE della sala, Brugnaro recitava come da copione il suo personale show ribadendo che, nonostante il dolore che queste infamanti accuse provocano in una persona della sua delicata sensibilità, il suo dovere rimane comunque quello di restare a capo della giunta per portare a termine tutti quegli innovatovi progetti volti a fare il bene della città. Quegli stessi progetti che i pm che lo hanno inquisito hanno definito come un vero e proprio «mercimonio della funzione pubblica» allo scopo di «coltivare gli interessi privati a detrimento del bene comune». Una «palude» – come è stata chiamata l’inchiesta – di malaffare, di connivenze e di logiche clientelari che fagocita l’intera amministrazione ai cui vertici il sindaco ha piazzato uomini a lui fedeli, non di rado provenienti dalle sue aziende.

UNA CIURMA di fedelissimi tutta inquisita ma che San Luigi ieri ha benedetto a spada tratta: il capo di Gabinetto Morris Celon? «Un vero amico. Una grande persona di grande onestà». Derek Donadini, vice capo di Gabinetto? «Una persona favolosa, onestissima». Ce n’è per tutti gli indagati tranne che per l’assessore, anzi ex assessore, Renato Boraso, l’unico finito in manette, al quale è stata appena respinta la richiesta di scarcerazione. Qui San Luigi cade dalle nuvole: «Chi se lo sarebbe aspettato? Chi lo avrebbe mai detto?». E si proclama «esterrefatto» e pure «arrabbiato».

ANCHE SUI SUOI RAPPORTI col magnate di Singapore Ching, San Luigi ha una versione dei fatti ben distante da quella degli inquirenti. «L’ho incontrato una volta in comune. Ha visto una pianta di Venezia ed è stato lui a chiedermi se l’area dei Pili fosse in vendita». Area che Brugnaro aveva acquistato per 5 milioni e ora valutata 150 milioni di euro. «In seguito ho ospitato Ching a casa mia per omaggiare un grande imprenditore. Mi ha fatto vedere il progetto che aveva per i Pili ma era troppo impattante e fui io a dirli di no». San Luigi Brugnaro difensore dell’ambiente. Chi lo avrebbe mai detto? Magari non le settecento persone rimaste fuori e che continuavano ad urlare «Vergogna, vergogna».

«A PALAZZO DUCALE c’è un bassorilievo del doge che si inginocchia davanti al Leone Marciano – conclude dai banchi dell’opposizione Gianfranco Bettin -. Brugnaro ha fatto l’opposto: ha piegato il bene della città ai suoi interessi. Un insopportabile conflitto di interessi che ha trasformato la macchina comunale in una palude di clientelismo».