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Venezia classici, capolavori e ritratti da un passato prossimo

Venezia classici, capolavori e ritratti da un passato prossimoMes petites amoureuses, 1974, di Jean Eustache

Venezia 79 Alcuni film dell'attore Richard Harris, «Stella Dallas» del 1925, Ozu, Renoir, Eustache

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 27 agosto 2022

La sezione Classici a Venezia è uno spazio educativo per i «giovani» che non conoscono il cinema del passato più o meno recente e una coccola speciale per i giornalisti nelle giornate in cui i nuovi film deludono o sfiancano con le loro durate spossanti. Ogni anno nel programma si trova tra i documentari sul cinema, qualche capitolo interessante di storia del cinema e tra i film restaurati quel titolo che è sempre sfuggito, in questa edizione inclusi gli omaggi a due attrici speciali, recentemente scomparse, a una brillante Monica Vitti in Teresa la ladra, da un romanzo di Dacia Maraini, sceneggiato da Age e Scarpelli, e con La voglia matta a una giovanissima Catherine Spaak, una Lolita «vera» per la regia graffiante di Luciano Salce, con musiche di Morricone, e poi, nel centenario della nascita a Pasolini Teorema e nel centenario dell’evento (1922) La marcia su Roma di Dino Risi, che sottolineava, in anticipo sui tempi, il passaggio del fascismo squadrista a quello finanziato da industriali e agrari, con la sceneggiatura di Age, Scarpelli, Scola, Maccari, Sandro Continenza e Ghigo De Chiara.

Anche il film della pre-apertura è un «classico», Stella Dallas, un film muto proposto con l’orchestra diretta da Stephen Horne. Stella Dallas è uno dei testi chiave per le studiose di melodramma, diretto da Henry King nel 1925, scritto dalla decana delle sceneggiatrici di allora, Frances Marion e interpretato da Ronald Colman, Bette Bennett, Alice Joyce, Lois Moran e Douglas Fairbanks Jr. È la storia di un damerino che sposa una fanciulla di ceto sociale inferiore dalla quale ha una figlia, Laurel, ma le abbandona entrambe. Quando Laurel cresce Stella capisce che non può darle il futuro che suo padre potrebbe garantirle e rinuncia alla figlia, accettando di divorziare cosicché l’uomo sposi una donna della buona società, che crescerà sua figlia. Alla fine lacrime obbligate quando, sotto la pioggia, Stella guarda dalla strada, dietro le sbarre di un cancello, Laurel che sposa un ragazzo dal brillante futuro. Il cast oggi forse non dice molto e la storia è stata ripresa nel sonoro dalla ben più nota Barbara Stanwyck, in un film diretto ha King Vidor col significativo titolo italiano di Amore sublime, ma Bette Bennett è un’ottima protagonista e questo film dimostra come nel muto si fosse raggiunta una maturità espressiva tale che i pacchiani abiti di Stella e i modi raffinati ma dolci della nuova moglie-madre evocano comunque una complessità di sentimenti che sapeva andare oltre la contrapposizione sociale.

Nella sezione classici-film restaurati tra i molti titoli riproposti tre film giapponesi di epoche diverse: il maestro Ozu con Una gallina nel vento (1948), in cui una donna si prostituisce per curare il figlio, mentre il marito è al fronte, in un dramma dai toni espressionisti, ma dalla parte della donna, poi Suzuki con il noir violento La farfalla sul mirino (1967) e Imamura con Il profondo desiderio degli dei (1968) sul conflitto tra modernizzazione e una mitica età dell’oro agraria su di un’isola lussureggiante. Dall’Oriente un altro maestro da non dimenticare, Satyajit Ray con I giocatori di scacchi, in cui due aristocratici duellano alla scacchiera, disinteressati alle sorti politiche del loro paese.

Una rarità è il tardo Caporal Epinglé di Jean Renoir (1962) ovvero Le strane licenze del caporale Dupont una commedia corale sui tentativi di fuga da un campo di concentramento di un gruppo assortito di prigionieri.

Ci sono anche film di cinema «moderno» sofisticato come Eustache (Mes petites amoreuses), e Greenway de I misteri del giardino di Compton House, il film che aveva rivelato il regista al grande pubblico proprio a Venezia. Non potevano mancare anche quest’anno film cult come La pantera nera di Ulmer, e un western atipico quasi noir (e suo primo film a colori) di Jacques Tourner, Canyon Passage-I conquistatori, che intacca la solidità del mito avventuroso della frontiera.

Cavalcade è un «classico» per eccellenza, molto popolare all’epoca (1933), con la storia di due famiglie di classi sociali diverse, tratto da un testo di Noel Coward, very British indeed, per quanto sia una produzione americana.

Tra i documentari proposte che permettono di riscoprire registi attori e film come Midnight Cowboy (John Schlesinger), del quale oggi si conosce più la canzone di John Barry, Everybody’s Talking, film che è stato in pratica l’esordio di Dustin Hoffman, a fianco di Jon Voight, apripista dei temi della solitudine urbana e dell’omosessualità.

Altri doc affrontano personaggi noti come Zeffirelli, Sergio Leone e Godard, e meno noti oggi, come Jerry Schatzberg, il regista de Lo spaventapasseri, Panico a Needle Park, Street Smart e L’amico ritrovato, sceneggiato da Harold Pinter, oltre ad aver partecipato alla serie televisiva L’Encyclopédie audio-visuelle con un episodio su Lumière.

Un doc è dedicato all’attore Richard Harris, che è stato Artù in Camelot, ma anche Corrado in Deserto rosso, il capitano di Sierra Charriba, il protagonista de L’uomo chiamato cavallo e di Cromwell, Riccardo Cuordileone in Robin e Marian, Bob ne Gli spietati, via via fino a Marco Aurelio nel Gladiatore e Albus in Harry Potter.

Insomma passato remoto e prossimo si mescolano per mettere in evidenza questa nuova «produzione» audiovisiva che è il restauro, reso utile e dilettevole dalla fame di contenuti delle piattaforme.

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