La «città vetrina» prigioniera di una classe politica smemorata
G20 L’organizzazione di questi summit sono di per sé degli atti violenti nei confronti dei cittadini. Per carità, si tratta di una violenza soft, ma quando parte degli abitanti del sestiere di Castello, il più popolare di Venezia, si sono ritrovati le calli di casa isolate da inferriate in alluminio, da delle vere e proprie gabbie come quelle della zona rossa di Genova
G20 L’organizzazione di questi summit sono di per sé degli atti violenti nei confronti dei cittadini. Per carità, si tratta di una violenza soft, ma quando parte degli abitanti del sestiere di Castello, il più popolare di Venezia, si sono ritrovati le calli di casa isolate da inferriate in alluminio, da delle vere e proprie gabbie come quelle della zona rossa di Genova
Bacino San Marco, un venerdì mattina di luglio. Di solito, solo vaporetti, barche da trasporto commerciale e imbarcazioni turistiche. Ma adesso c’è il G20 dell’economia all’Arsenale e in bacino ci sono una motovedetta della Guardia di Finanza che si aggira vagamente minacciosa, un gommone dei Carabinieri che spesso parte a tutta velocità, quasi facendo a gara con le due moto d’acqua della Polizia di Stato, che sfrecciano in lungo e in largo rincorrendo tutto quel che si muove. Sopra, in un cielo terso e blu, due elicotteri, uno giallo e uno nero volteggiano incessanti, il più tranquillo sembra il motoscafo della Polizia che presidia il Rio della Tana, uno dei canali che portano all’Arsenale. Ogni tanto si aggiunge una motovedetta della Guardia Costiera. A poche decine di metri da qui, centinaia di carabinieri e poliziotti proteggono i partecipanti al G20, controllano senza sosta residenti e turisti di passaggio. Invisibili, sui tetti, i cecchini e chissà chi altri in giro, mescolati a noi che qui ci abitiamo.
OGNI ESSERE UMANO sensato sa che questo quadro sommariamente descritto è ciò che di più incongruo si potesse immaginare di vedere in una città come Venezia. Eppure, grazie anche a una giunta rieletta sì al primo turno nell’autunno 2020, ma del tutto lontana dai cittadini, il G20 è qui, nel posto meno adatto del mondo a ospitare eventi del genere.
E poi, la coincidenza con un anniversario cruciale per la nostra storia recente. Vent’anni fa, luglio 2001, si svolse a Genova il G8. Non serve raccontare come andarono le cose. Le violenze, i gas velenosi, gli arresti di massa, le torture, la «macelleria messicana» alla scuola Diaz, l’uccisione di Carlo Giuliani.
QUELL’EVENTO FU un punto di svolta nella Storia contemporanea di questo Paese. Ma fra tutte le conseguenze tragiche, giuridiche, politiche, sociali che lasciò, ce n’era una che sembrava la più logica e facilmente applicabile: mai più un summit nel centro storico di una città italiana. Lo dissero in molti, lo giurarono addirittura. Mai più. Solo che non avevamo fatto i conti con la classe professionale più smemorata del mondo, spesso inadeguata e a volte in malafede: la classe politica. Non l’intera classe politica, sia chiaro, ma una gran parte di quella che governa oggi l’Italia e che amministra Venezia. Perciò chiedo a voi come possano essere definiti coloro che vent’anni dopo Genova hanno deciso non solo di organizzare un G20 nel centro storico di una città, ma addirittura nel cuore della città storica più bella e fragile del mondo.
L’organizzazione di questi summit sono di per sé degli atti violenti nei confronti dei cittadini. Per carità, si tratta di una violenza soft, ma quando parte degli abitanti del sestiere di Castello, il più popolare di Venezia, si sono ritrovati le calli di casa isolate da inferriate in alluminio, da delle vere e proprie gabbie come quelle della zona rossa di Genova, non hanno potuto non provare un sentimento di violenza nei loro confronti, incomprensibile e inopportuna.
FERMATE DEI VAPORETTI sospese, itinerari assurdi che non faranno che penalizzare i pendolari e non soltanto loro. Certo, bisogna garantire la sicurezza di chi partecipa, ma non a scapito delle libertà di noi cittadini. Se proprio lo si voleva fare a Venezia, perché non scegliere una delle tante isole? Per il solito motivo, forse: l’occasione di una bella vacanzetta a Venezia a spese poi di chissà chi. In particolare, però, a spese delle nostre libertà.
ALLORA, RIPETO, come li definiamo coloro che hanno voluto organizzare questo summit? E come definiamo la giunta che amministra la città che invece di stare dalla parte dei cittadini si bea ed esalta questo evento con la solita incomprensibile tiritera della visibilità mondiale che la città avrà in questi giorni? Come se Venezia non fosse visibile al mondo intero già da secoli. Come far loro capire che è ora di finirla di pensare a Venezia solo come se fosse una vetrina? E chi glielo dice, al sindaco e assessori vari, che dopo un anno e mezzo di pandemia, i commercianti del sestiere di Castello non avevano certo bisogno di ulteriori giornate di restrizioni ferree del tutto inutili e dannose? Evidentemente non bastavano il turismo di massa e l’emergenza climatica, a Venezia. Questo, potrebbe essere l’inizio di un utilizzo sempre più esasperato della città come cartolina, sempre più museo diffuso e sempre meno luogo di vita quotidiana, di residenza. Un luogo da sfruttare fino in fondo, prostituire la sua bellezza a fini del tutto estranei alla sua realtà, alla sua storia. Si parla da tempo dello scollamento sempre più marcato fra la politica e i cittadini.
ORGANIZZARE IN QUESTO modo e in questi luoghi un G20 è molto più di un autogol. È un’istigazione alla rabbia o, quanto meno, un invito ad allontanarsi ancora di più, a ignorarla definitivamente, questa classe politica.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento