Venezia 81, la visione trascendente della realtà immersiva
Venezia 81 Tutto pronto per la Mostra, che si apre oggi con «Beetlejuice Beetlejuice» di Tim Burton. Nel frattempo esploriamo la sezione delle opere virtuali
Venezia 81 Tutto pronto per la Mostra, che si apre oggi con «Beetlejuice Beetlejuice» di Tim Burton. Nel frattempo esploriamo la sezione delle opere virtuali
Sul Lido tutto è (quasi) pronto, fra gli ultimi lavori di allestimento i festivalieri trascinano le valigie con gli outfit studiati per mesi – meglio se uniti all’abbronzatura estiva e magari a un po’ di botox per quella che è la vetrina di eccellenza del cinema – specie italiano. Saranno dieci lunghissimi giorni di polemiche, finti scoop, storie fantasiose, recriminazioni, rituali, file ai check-point dei controlli di sicurezza che i giornali locali annunciano particolarmente severi visto il clima teso nel mondo. Ristoranti imprenotabili e ricerca spasmodica di stanze last minute fossero pure un materassino gonfiabile in una cucina. La Mostra numero 81 si apre oggi, madrina della serata Sveva Alviti, sul primo Red carpet si attendono le star tornate dopo l’assenza lo scorso anno per gli scioperi a Hollywood, e il film dell’inaugurazione ne sfoggia un bel numero, dal neo direttore della Biennale Teatro, Willem Dafoe a Michael Keaton, Winona Ryder, Catherine O’Hara, Monica Bellucci, per la gioia del pubblico dentro e fuori la Sala Grande, per chi affollerà le transenne davanti alla passerella in cerca di un selfie con qualche celebrità. A riunirli è Tim Burton in una versione nuovo millennio del vecchio «spiritello porcello» di trentacinque anni fa: Beetlejuice Beetlejuice. Il regista lo racconta come un film sull’età adulta, forse è cresciuto pure lui, l’eterno folletto senza tempo e, dunque, pensando alla famiglia Deetz del secolo scorso, si è chiesto all’improvviso cosa poteva essergli accaduto. «Che si diventa da adulti? Quali sono le tue relazioni? Quando si cresce succede a tutti di vivere dei cambiamenti e rivisitare le vite della famiglia Deetz è stato molto emozionante».
Damiel, uno degli angeli de Il cielo sopra Berlino, osserva, ascolta, empatizza, si addolora, sorride, senza mai interrompere l’azione altrui, senza mai poter intervenire per modificare i sentimenti di un’umanità che lo incuriosisce e intenerisce e che, a un certo punto, lo spinge ad abbandonare il ruolo di puro osservatore per attraversare la vita. Non sappiamo se gli autori delle opere che compongono il ricco e suggestivo programma di Venice Immersive, la sezione interamente dedicata alla realtà virtuale e aumentata, sull’Isola del Lazzaretto Vecchio, abbiano pensato al film di Wim Wenders traendone ispirazione. Certamente, una volta indossati i visori, la sensazione è quella di percepirsi come un angelo che pur partecipando a esperienze altrui, ne resta fuori al pari di un essere trascendente, al quale è data la possibilità, contemporaneamente, di esserci e non esserci, di stare dentro e sopra un orizzonte immaginario. Può suonare come un paradosso, perciò, che il tentativo affascinante di immergersi nella realtà si trasformi repentinamente in un atto metafisico.
NATA COME Venice VR, nel cambiamento di nome esprime una crescita costante – di proposta, di spazi, di ricerca – e con un’ottima risposta di professionisti e di pubblico che nelle immagini cerca e provoca una molteplicità di punti di vista dalla sua stessa fruizione.
In tutte le mostre d’arte, ogni opera ha una sua identità e peculiarità che travalica i fili rossi. Ad esempio, Somewhere Unknown in Indochina (Biennale College Cinema Immersive, fuori concorso) realizzato da Asio Chihsiung Liu e Feng Ting Tsou, segue in modo tradizionale le drammatiche vicende di un gruppo di vietnamiti che nel 1978 arrivò decimato nel campo profughi di Penghu, nell’isola di Taipei, dopo un viaggio per mare di duemila chilometri durato sessantasei giorni.
Tra animazioni, live action e materiali di repertorio, con il visore, l’utente è nell’imbarcazione con i protagonisti del racconto, dentro il campo, ma sempre con l’intento non di sopravvivere ma di saperne di più. Quasi che una divinità stanca della propria equidistanza dal mondo, decidesse d’improvviso, per una sorta di capriccio, di avvicinarsi alla vita terrena, a una in particolare.
Terminato il viaggio, l’osservatore è catapultato in altro ambiente mentre i fantasmi del passato riemergono per riportare alla luce una storia dimenticata. Ed è in quel momento che, osservando madre e figlia parlare, quest’ultima getta lo sguardo sull’estraneo che si credeva anche lui un fantasma, un’entità intoccabile. Un sorriso della giovane donna, dunque, sorprende lo spettatore che si riscopre, almeno per un attimo, suo complice e forse lo costringe al pudore come neanche accade seduti in una sala cinematografica o nell’ancor più deresponsabilizzante salotto di casa propria.
DI TUTT’ALTRA NATURA è What If…? An Immersive Story (Best of Experiences – fuori concorso) di Dave Bushore, prodotto tra gli altri da Marvel Studios, ILM Immersive e Disney+. Qui l’ambizione è di trascinare l’«angelo» dentro il multiverso, trasformandolo nell’eroe di universi e tempi paralleli. Grazie al tracciamento oculare e a gesti personalizzati basati sulle mani, lo spettatore si fa attore, difensore del bene ed estremo baluardo contro le forze del male. Una performance di cinquanta minuti che richiede peraltro uno sforzo fisico. Il piano metafisico, però, non prende congedo. In questo caso, lo spettatore divino, ha preso la forma di un attore, mero meccanismo di un ingranaggio. Perché alla fine, in modo ludico, l’invito a combattere non è altro che parte di una grande sceneggiatura scritta per la prima storia interattiva realizzata da Disney+ Original, in esclusiva su Apple Vision Pro. A metà strada tra i due titoli citati, si pone Impulse: Playing With Reality (Concorso) scritto e diretto da Barry Gene Murphy e May Abdalla con la voce narrante di Tilda Swinton. Omar, Errol, Leanne e Tara sono protagoniste e protagonisti di eventi personali traumatici collegati tra loro dal disturbo da deficit di attenzione/ iperattività (Adhd). Abbandonate le classiche ambientazioni dell’animazione fantasy, del documentario d’osservazione, della finzione che ricompone i fatti umani, con Impulse si entra direttamente nella mente, tra emozioni, saperi che si accumulano e si disperdono, prendendo coscienza, attraverso un gioco, che spesso vi sono partite che non possono essere vinte. In questo flusso di sensazioni, chi indossa il visore si trova nuovamente vicino e lontano all’osservato, consapevole che negli impulsi artificiali come in quelli reali, pare destinato a dissipare conoscenze così fragili.
Corinne Mazzoli – Biennale College Cinema Immersive – utilizza la VR per condurci nel mondo delle Gossips, una popolazione di artigiane vissuta nel medioevo che nei loro artefatti concentravano molte conoscenze con cui riuscire a porsi in dialogo con l’universo. The Gossip’s Chronichles ci mostra come quegli stessi oggetti sono diventati strumenti di tortura e utilizzati appunto per distruggerle da una società patriarcale che non poteva ammettere una comunità di donne non sottomessa alle sue regole e in sintonia con la natura e il cosmo. La narrazione le rende così pericolose «streghe» e quegli stessi oggetti sono utilizzati contro di loro mentre nella moltiplicazione di punti di osservazione entriamo nelle dinamiche del vero e del falso che fanno la storia.
CI TROVIAMO fra le rovine di Fukushima dopo lo tsunami in Address Unknown: Fukushima Now di Arif Khan (Concorso Venice Immersive), un viaggio nella memoria della città e nella sua ricostruzione, una nuova Fukushima che però non può semplicemente sostituire la precedente. Le città non sono solo gli edifici ma le storie di coloro che le hanno abitate, ci dice una delle persone che viveva lì, ricordando il teatro dove tutti ritrovavano quei vissuti che non esistono più e che facevano di Fukushima ciò che era. Sulla costruzione di una memoria condivisa lavora anche All I Know About Teacher Li di Zhuzmo, documentario interattivo su uno studente cinese di arte che, utilizzando i social media, «provoca» la protesta in Cina contro il controllo sociale durante il Covid, rompendo con ostinazione la censura.
Craig Quintero con A Simple Silence propone il capitolo finale della trilogia – premiatissima – Just For You – in cui nell’esperienza 360 VR continua con forte intensità l’esplorazione delle relazioni umane nelle loro inquietudini e fra le crepe di un malessere che sfugge a ogni possibile definizione.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento