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Velletri, detenuto psicotico uccide compagno di cella

Velletri, detenuto psicotico uccide compagno di cellaCarcere di Velletri

Carcere&Salute A darne notizia, denunciando «una situazione allarmante», è stato il sindacato autonomo Sappe che riferisce di una precedente aggressione dell’omicida ai danni di un poliziotto penitenziario

Pubblicato più di un anno faEdizione del 21 giugno 2023

Tragedia nel carcere di Velletri, nei Castelli romani: un detenuto con problemi psichiatrici ha ucciso, al culmine di una lite, il suo compagno di cella. Sull’omicidio indagano carabinieri e polizia penitenziaria coordinati dalla locale procura. A darne notizia, denunciando «una situazione allarmante», è stato il sindacato autonomo Sappe che riferisce di una precedente aggressione dell’omicida ai danni di un poliziotto penitenziario. Per il segretario Donato Capece, «il disagio mentale, dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, è stato riversato nelle carceri, dove non ci sono persone preparate per gestire queste problematiche, mancano strutture adeguate e protocolli operativi».

Va ricordato però che nei penitenziari italiani dall’inizio dell’anno si sono suicidati 32 detenuti e in totale sono morte 63 persone. Nel 2022, anno record, i suicidi sono stati 85 e le persone che sono morte in cella sono state addirittura 214. Mai così tanti. E, secondo l’ultima relazione al parlamento presentata pochi giorni fa dal Garante nazionale Mauro Palma, al 31 marzo 2023 erano 350 i detenuti con disagio psichico accertato presenti negli istituti. Molti di più quelli che fanno uso di vari tipi di psicofarmaci.

Ma il problema della salute mentale in carcere non si può risolvere solo con un ampliamento delle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Occorre una riflessione seria», invita il Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia: «L’autore del reato, che viene da una storia importante di abuso di sostanze, sono anni che passa di carcere in carcere, dal carcere all’ospedale, ed è stato anche in Rems. Dunque, il problema non è dove metterlo, ma quali risposte dare alle sue condizioni di disagio psichico, certamente aggravato dal continuo trasferimento da struttura a struttura e dai ripetuti isolamenti a cui è stato costretto. Le carceri non sono attrezzate a gestire gravi problemi di salute mentale e fuori non ci sono sufficienti strutture di accoglienza».

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