Vedere l’Iran in uno sguardo differente
Vivace e tormentato, così Nadia Pizzuti in chiusura del suo ultimo libro sintetizza un paese unico, l’Iran. Corrispondente dell’Ansa a Teheran «per oltre mille e un giorno», durante i due mandati del presidente riformista Khatami, a cavallo del vecchio e del nuovo millennio, la giornalista usa i due aggettivi per racchiudere anni di aperture alla trasformazione e resistenze al cambiamento, di una speranza di futuro che è stata per lo più tradita.
TORNARE A QUEGLI ANNI non è però un esercizio futile, tanto più in un periodo di rinnovato interesse per un paese che è sempre stato raccontato, a Occidente, senza troppe sfumature. Eppure esistono davvero poche nazioni con un bagaglio di ricchezza e contraddizioni come l’Iran, di punti di vista che variano come quando si gira un caleidoscopio. Il contrasto tra le grandi città e le zone rurali, tra laicità e teocrazia, tra vecchie e giovani generazioni, tra cosmopolitismo e nazionalismo, e ancora l’incontro-scontro tra etnie e fedi diverse e tra diverse rivendicazioni, con quelle delle donne in primo piano.
Pizzuti lo fa in Iran. La lunga marcia delle donne edito da All Around (pp. 192, euro 15), da testimone diretta. Ci riporta alla fine degli anni Novanta e al primo vero scarto dalla rivoluzione khomeinista del 1979: quella stagione giungeva dopo vent’anni dalla nascita della Repubblica islamica e dopo il terribile decennio della guerra con l’Iraq, con la sua eredità di crisi economica e veterani arruolati nelle file della repressione di stato.
Pizzuti fa un salto all’indietro e uno in avanti per spiegare le ragioni di una mobilitazione popolare di fatto continua, che si fa sotterranea all’occorrenza per tornare a galla con cadenza regolare. È così che la stagione di allora può aiutare a comprendere il movimento rivoluzionario e femminista iniziato nell’autunno del 2022, «Donna Vita Libertà»: nonostante la repressione non venga mai meno e irrigidisca il vecchio potere di ayatollah e pasdaran, ponendolo in aperto contrasto con la presidenza Khatami, il boom culturale, l’apertura di nuovi media, la maggiore libertà di espressione, le mobilitazioni dei giovani, la battaglia delle donne negli stadi e la sfida agli obblighi del velo hanno generato l’humus su cui sarebbero germogliati i movimenti successivi.
Pizzuti racconta di un Iran altro, sfuggito alle categorie occidentali che lo vogliono soffocato e soffocante e che fanno di un pezzo di stoffa la sola chiave con cui leggere una realtà ben più composita, dimenticando di proposito le interferenze esterne, tra colpi di stato anti-socialisti e occidentalizzazione forzata. Lo racconta con tante piccole storie, frutto di anni trascorsi nell’Iran profondo e più accogliente, aperto di per sé al mondo fuori perché attraversato da mille civiltà senza finirne mai soggiogato.
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