«Italia, unica terra d’asilo per chi viene dalla Libia»
Intervista a Fulvio Vassallo Paleologo Il giurista: la selezione tra migranti economici e richiedenti asilo non può essere fatta in Libia e la locale Guardia costiera non dà garanzie di tutela da morte e torture
Intervista a Fulvio Vassallo Paleologo Il giurista: la selezione tra migranti economici e richiedenti asilo non può essere fatta in Libia e la locale Guardia costiera non dà garanzie di tutela da morte e torture
La nave di Medici senza Frontiere «Vos Prudence» arrivata a Palermo con oltre 800 migranti a bordo una settimana fa e bloccata in porto per lungaggini burocratiche alla fine ieri pomeriggio è potuta ripartire. Non prima dell’intervento dell’avvocato palermitano Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero, uno dei giuristi più impegnati nella difesa dei diritti dei migranti in collaborazione con diverse ong.
Da Macron ad Avramopoulos e da ultimo anche Luigi Di Maio sostengono che in Italia arrivano quasi solo «migranti economici» e vanno perciò respinti o rimpatriati. È così?
Nessuno può stabilire prima che entrino se sono richiedenti asilo o no, si andrebbe contro la previsione della Convenzione di Ginevra che permette a tutti l’ingresso senza una selezione a monte. Adesso si parla di realizzare un centro in Libia per operare questa pre selezione ma mancano le condizioni minime lì: manca una autorità centrale in grado di garantire a tutti il diritto alla vita e a non essere torturati. È una proposta in malafede. I profughi che si imbarcano in Libia devono essere portati in Italia per le convenzioni internazionali. Ribadisco: in Italia.
Minniti però ha promesso un piano in 6 punti e minaccia di bloccare i porti alle ong non italiane. Minaccia attuabile?
Questa ipotesi di regolamento non regge né sul piano dell’attuabilità concreta, perché Francia e Spagna hanno già detto di no, né sul piano della legittimità internazionale. Le convenzioni internazionali del diritto del mare intese complessivamente indicano di portare i naufraghi «nel porto sicuro più vicino». Alcuni giuristi sottolineano come si tratti di una prescrizione non imposta, solo prevista. In realtà ci sono anche altri obblighi, come il principio del non respingimento e il divieto di espulsioni collettive, contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, che impediscono di rifiutare l’attracco in porto a imbarcazioni cariche di naufraghi provenienti dalla Libia.
Obblighi che però non ricadono sulla Guardia costiera libica, il cui ruolo Minniti vuole ampliare.
La Guardia costiera libica ha dimostrato in questi anni di essere inquinata da infiltrazioni di trafficanti e di non garantire la salvaguardia delle vite umane nelle acque antistanti i 2 mila km circa di costa libica. Come nel caso di Malta, quando un Paese con responsabilità di una zona Sar (search and rescue, ricerca e soccorso in mare, ndr) non è in grado di garantire il salvataggio delle persone in pericolo di vita, subentra il paese confinante e qualunque nave in transito ha il dovere, l’obbligo, di procedere alle operazioni di recupero dei superstiti. In questi primi sei mesi dell’anno per ritardi nei soccorsi sono già morte oltre 2 mila persone.
L’Europa vuole puntare sui rimpatri nei paesi d’origine e sigillare le frontiere a sud della Libia. Agadez è descritta ora come una città morta, allora i Trust Fund per l’Africa lì hanno sterilizzato la tratta?
Sono due problematiche diverse. Quando Minniti nel suo piano vuole una maggiore effettività delle espulsioni dai 13 centri che ha ipotizzato deve comunque basarsi sulle disponibilità dei paesi d’origine a riaccoglierli, cosa che non sempre c’è, e sulle condizioni di rispetto dei diritti umani là, altra condizione che spesso non si verifica. Poi ci sono i rimpatri nei paesi terzi, un punto dolente perché spesso sono in violazione della Convenzione di Ginevra. Il regime proibizionistico finisce per arricchire le mafie dei paesi di transito, e imporre solo percorsi più lunghi e pericolosi a chi fugge. Infatti si torna a morire nel deserto del Sahel, cosa che non succedeva più dai tempi di Gheddafi. E non si capisce chi dovrebbe controllare le frontiere sud della Libia, c’è il forte sospetto che si voglia affidare il compito alle tribù che tradizionalmente hanno legami con i jihadisti di Al Qaida e dell’Isis.
Molti soldi per controllare le frontiere finiranno in armi?
Non si garantisce una reale pacificazione se la logica dell’aiutiamoli a casa loro prescinde dal rispetto dello Stato di diritto nei paesi d’origine, così si finanziano regimi corrotti e dittatoriali. E il controllo delle frontiere si traduce in acquisto di attrezzature militari. Le motovedette regalate alla Libia sono disarmate ma da settimane la Guardia costiera lamenta attacchi dei trafficanti. Se aumenterà la militarizzazione di quelle acque aumenteranno i rischi di conflitti armati, tra Serraj e Haftar e con grossi contrabbandieri di petrolio e armi.
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