Sulla carta l’obiettivo vorrebbe essere ambizioso: creare un coordinamento tra paesi di origine, transito e destinazione dei migranti per mettere fine ai flussi irregolari. In realtà il Trans-Mediterranean Migration Forum, nome dell’iniziativa organizzata ieri a Tripoli dal Governo di unità nazionale guidato dal premier Abdul Hamid Dabaiba, è per lo più una sfilza di annunci già sentiti in passato. Utili, però, alla Libia per lanciare un messaggio all’Unione europea: «E’ tempo di risolvere la questione migratoria e la Libia non continuerà a pagarne il prezzo», aveva anticipato nei giorni scorsi il ministro dell’Interno Emad Trabels parlando di 2,5 milioni di stranieri presenti nel paese e avvertendo Bruxelles: «Il reinsediamento degli immigrati in Libia è inaccettabile».

Presenti 28 paesi, ma per l’Europa l’italiana Giorgia Meloni, accompagnata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, e il maltese Robert Abela sono gli unici premier presenti. A rappresentare Spagna e Grecia ci sono invece funzionari dei rispettivi ministri dell’Interno, Austria, Germania e Paesi Bassi inviano ambasciatori, la Repubblica ceca il viceministro sempre dell’Interno. Mentre per l’Unione europea c’è il vicepresidente della Commissione Ue Margaritis Schinas. Più folta la rappresentanza dei paesi africani, con il presidente del Ciad, i premier di Tunisia e Niger e il ministro dell’interno del Sudan, oltre a rappresentanti dell’Unione africana e della Lega araba. Come spesso accade, però, più delle presenze a contare sono le assenze: scontata la mancata partecipazione del generale Haftar, il vicino nemico che controlla la Cirenaica, mancano anche l’Egitto, che lo sostiene, e la Francia.

Prima e più delle parole, va detto che a colpire è l’allestimento voluto dagli organizzatori della sala in cui si svolge il Forum: giubbotti di salvataggio appesi al soffitto. Dovrebbero ricordare i migranti annegati nel Mediterraneo ma in realtà sembrano una tragica beffa. La cosiddetta Guardia costiera libica (denunciata ieri alla procura di Roma dalla ong Mediterranea Saving Human per aver sparato il 4 aprile contro migranti e soccorritori durante un intervento della nave mare Jonio) è infatti più volte finita nel mirino per le continue violenze contro i migranti intercettati in mare e solo una settimana fa Volker Turk, capo dei diritti umani delle Nazioni unite, aveva invitato a sospendere ogni accordo di asilo e migrazione con Tripoli: in Libia, aveva spiegato, migranti e rifugiati continuano a essere vittime di «gravi e diffuse violazioni dei diritti umani» perpetrate su «larga scala e impunemente», compresi torture e lavoro forzato.

Del resto è stato sempre Trabelsi a spiegare la posizione di Tripoli. Oltre a incentivare i rimpatri volontari, importante per il Governo di unità nazionale è la creazione di quattro «linee di difesa» utili a bloccare gli arrivi dei migranti: ai confini, nel deserto, nelle città a in mare. Per questa missione sono già stati addestrati 5.000 agenti di polizia. Poi, certo, c’è l’aiuto da dare ai paesi dai quali partono i migranti. Tocca al premier Dabaiba chiedere quello che sembra una sorta di pano Mattei africano. «I Paesi del Sahel – ha spiegato – non sono più solo paesi di transito e il numero crescente dei migranti ci pone di fronte alla responsabilità morale e di sicurezza di impegnarci con tutti i paesi interessati per sviluppare soluzioni globali che affrontino la questione tempestivamente e garantiscano una vita dignitosa ai cittadini africani nel proprio paese». Niger e Ciad sono due tra quelli principali attraversati dai migranti per arrivare in Libia. Entrambi i paesi, però, sono pesantemente influenzati dalla Russia, così come la Cirenaica, dove sono presenti soldati di Mosca, e, seppure in maniera minore, il Sudan. Proprio la presenza russa preoccupa Meloni, tanto che a maggio in un precedente viaggio in Libia con tappa in Cirenaica, aveva chiesto ad Haftar di mettere fine alla presenza di militari stranieri. E più di recente, al vertice Nato di Washington, a chiedere la nomina di un italiano come inviato per il fronte Sud.

A Tripoli la premier preferisce non affrontare l’argomento, così come non parla delle condizioni in cui i migranti vengono tenuti nei centri di detenzione libici. «L’approccio predatorio con l’Africa è sicuramente sbagliato. Il modo giusto di collaborare è una cooperazione tra pari, una cooperazione strategica, portando investimenti per risolvere i problemi di entrambi», dice invece ripetendo i concetti già espressi a gennaio durante la conferenza Italia-Africa che si è tenuta a Roma.