Dicono che Renato Vallanzasca, 73 anni da compiere a maggio, ormai non sia più il «Brighella del Giambelin». Lo dicono i periti che lo visitarono al carcere di Bollate due anni fa, poco prima che il Tribunale di Sorveglianza gli negasse la semilibertà: «Ha avuto un cambiamento profondo, intellettuale ed emotivo». In prigione dal 1977 – e ne ha visitate 36 – il fu bel René, condannato in via definitiva a quattro ergastoli e 295 anni, detiene il record di longevità come ospite dello stato.

Adesso però è «anziano e malato» secondo i suoi due avvocati Paolo Muzzi e Corrado Limentani, che martedì hanno chiesto al tribunale di Milano una perizia per verificare la sua capacità di stare in giudizio e l’indulto previsto dalla legge (tre anni), mentre la procura, sulla base di un ricalcolo della pena, vorrebbe sei mesi di isolamento diurno. La prossima udienza si terrà a marzo.

BOSS DELLA BANDA della Comasina che, tra gli anni ’70 e gli ’80, seminò il terrore a Milano a colpi di rapine, sequestri e omicidi, durante i suoi molteplici soggiorni carcerari Vallanzasca in passato ha più volte dato prova di essere un individuo pericoloso: dall’uccisione del ventenne Massimo Loi nel bel mezzo di una rivolta dei detenuti a Novara (era il 1981) a una serie di evasioni tentate e talvolta riuscite, anche se le fughe sono sempre durate poco. Un pentito di camorra, Giovanni Pandico, lo tirò in ballo anche per alcuni contatti con il boss Raffaele Cutolo e Vallanzasca finì nel famoso processo che, tra gli altri, vedeva imputato pure Enzo Tortora. Venne assolto per insufficienza di prove.

Dagli anni 2000 in poi, però, l’ex boss della Comasina ha cambiato vita. Del resto i tempi erano decisamente cambiati e il mondo in cui si era fatto grande e grande era diventato nel male non esisteva più: ha collaborato con la giustizia – facendo anche dichiarazioni, poi dimostratesi fondate, su un complotto ai danni di Marco Pantani al Giro d’Italia del 1999 -, ha aperto un (chiacchieratissimo) blog per interposta persona e poi si è sposato con una sua amica d’infanzia, Antonella D’Agostino. Nel 2010 ha ottenuto la possibilità di uscire di prigione durante il giorno per lavorare, ma poi gli è stata revocata perché ne approfittava per incontrare una donna.

QUANDO gli fu nuovamente concessa, nel 2014 vanificò ogni speranza facendosi beccare a taccheggiare in un negozio. La refurtiva: un paio di mutande (di Versace), delle cesoie e un sacco di concime. La condanna, a dieci mesi, fu per tentata rapina aggravata – e non per furto – perché alla guardia giurata del supermercato disse: «Se mi denunci poi succede un casino». In tribunale la frase venne considerata una minaccia. «Ma era un malinteso», sostiene Davide Steccanella, allora suo avvocato. «Vallanzasca intendeva dire che sarebbe successo un casino a lui, perché gli avrebbero revocato la semilibertà».

Nel giugno del 2020, altra puntata al Tribunale di Sorveglianza e diniego di ogni nuovo beneficio. «Il ricorso per fargli ottenere i permessi per uscire venne respinto perché, dissero i giudici, c’era la necessità di fare un percorso graduale – racconta ancora Steccanella -, ma stiamo parlando di un uomo che allora aveva settant’anni e che stava già in prigione da quarantaquattro. Lì ho deciso di rimettere il mio mandato. Mi sono sentito preso in giro. La mia funzione di avvocato era evidentemente inutile, e non ho più voluto partecipare alla farsa. Chiaro che il problema non è chi sia Vallanzasca adesso, ma chi è stato in passato. La più grande delusione della mia carriera».

LO SCORSO NOVEMBRE il tribunale di Sorveglianza milanese ha rigettato l’ennesimo ricorso: colpa di un diverbio con un agente penitenziario durante il controllo delle urine dello scorso agosto. Sanzionato con un richiamo, in aula i giudici hanno evidenziato come il carattere di Vallanzasca sia «tuttora intemperante».

Gli anni passano, il fine pena mai rimane. E René dagli occhi di ghiaccio viene ancora considerato come il pericolo pubblico che è stato, ma, sostengono i suoi avvocati, «è un uomo provato sia nel fisico sia nella mente, segnato ovviamente dai quasi 50 anni di carcere. A volte appare un po’ spaesato». C’era un bandito a Milano. Ma adesso non c’è più.