Il vaiolo delle scimmie è arrivato in Italia. Il primo caso è stato confermato ieri all’istituto «Lazzaro Spallanzani» di Roma con un test molecolare. Si tratta di un giovane rientrato dalle isole Canarie, definito «in discrete condizioni generali» dall’ospedale. Altri 2 casi sospetti sono sotto osservazione da parte degli stessi medici e «potrebbero essere confermati nelle prossime ore», secondo il direttore generale della prevenzione Gianni Rezza. In Spagna si conterebbero altri 23 casi sospetti della malattia. Secondo il Centro europeo per il controllo delle malattie, ai casi spagnoli e italiani vanno aggiunti i 5 già confermati in Portogallo e i 9 del Regno Unito. Anche la Svezia ne ha identificato uno. Al di là dell’oceano, il Canada ha individuato già 17 sospetti contagi, più un altro rilevato al ritorno negli Usa. Nessuno sarebbe in condizioni preoccupanti. Ma tutte le agenzie sanitarie internazionali, Oms in testa, stringono le maglie del monitoraggio.

I CASI UMANI di vaiolo delle scimmie non sono un’assoluta novità. Il virus, geneticamente vicino a quello del vaiolo umano, è diffuso tra i primati e i roditori delle foreste dell’Africa equatoriale e occasionalmente un animale può infettare una persona. Il contagio da persona a persona è ritenuto meno probabile. Dal primo caso registrato nel 1970 a oggi, i contagi hanno riguardato undici stati dell’Africa centrale o persone che vi avevano viaggiato. Lo stato con più casi è la Nigeria, dove negli ultimi 5 anni si sono censiti 558 casi con 8 vittime. In passato anche in occidente si sono verificati focolai: nel 2003, un carico di animali dal Ghana ha causato un’epidemia negli Usa, con 47 persone contagiate. I casi sono diventati più frequenti negli ultimi anni, come avviene per tutti i virus (Ebola, Zika e lo stesso coronavirus) il cui salto di specie è facilitato dalla deforestazione selvaggia, oltre che dalla fine delle vaccinazioni.

IL VAIOLO delle scimmie attualmente in circolazione appartiene al ceppo meno pericoloso originario dell’Africa occidentale. Nella maggior parte dei casi, i sintomi (febbre, dolori e pustole) si risolvono spontaneamente in 1-2 settimane. Le stime della letalità variano tra l’1% e il 3,6%, elevata ma inferiore a quella del vaiolo umano. La percentuale si riferisce però ad aree del pianeta in cui scarseggiano farmaci e strutture sanitarie e alle nostre latitudini si rivelerebbe più bassa. Il vaccino anti-vaiolo somministrato in Italia fino al 1977 garantisce una protezione stimata all’85% a circa la metà della popolazione. «Dato che il virus si trasmette per contatto diretto o molto stretto, i focolai tendono generalmente ad autolimitarsi» prevede Rezza. Il virus, infatti, si trasmette soprattutto attraverso la saliva. Ma diverse agenzie, compreso il nostro Iss, hanno legato il contagio all’orientamento omosessuale di molte persone infette, con il rischio di riprodurre le discriminazioni che hanno colpito la comunità LGBTQ agli esordi dell’Hiv.

GLI EPIDEMIOLOGI però fanno notare che la diffusione di queste settimane abbia caratteristiche inedite. I focolai non sono tutti riconducibili a casi di importazione e compaiono contemporaneamente in aree lontane del globo. «Il vaiolo delle scimmie che conoscevamo non era così contagioso» ha twittato la virologa olandese Marion Koopmans dell’università di Rotterdam elencando le possibili spiegazioni: «Un paziente zero con molti contatti diretti? O qualcosa di strano nel virus? Potrebbe essere diventato più contagioso come il “vecchio” vaiolo, che era anche più virulento». Diversi ricercatori ritengono che la trasmissione umana del virus sia proseguita indisturbata per diverso tempo prima delle segnalazioni di questi giorni.

Nel frattempo, si controllano le scorte di vaccino anti-vaiolo. Secondo l’Iss, l’Italia dispone di 5 milioni di dosi, che possono diventare 25 grazie alla diluizione. Fonti del ministero della salute hanno spiegato al manifesto che le dosi sono anche di più, ma che per il momento non sembra necessario usarle.