Le elezioni amministrative del prossimo 12 Giugno costituiscono un passaggio importante per l’analisi del panorama politico. I numeri raccontano, in parte, il perché. Vanno al voto 978 Comuni, pari al 12,4% dei 7.904 complessivi. Quasi 9 milioni di persone, poco meno del 20% degli aventi diritto. Sono tanti o sono pochi? Ciò che più conta non è (solo) quanti sono, ma dove sono.

Le regioni con la percentuale più elevata di elettori sul totale della popolazione regionale sono Liguria, Lombardia, Sicilia, Veneto e Calabria. Si tratta, poi, per il 14,5% di “comuni superiori” (più di 15.000 abitanti) e per l’85,5% di “comuni inferiori” (meno di 15.000 abitanti). Superano i 100.000 abitanti solo le città di Genova, Messina, Monza, Padova, Palermo, Parma, Piacenza, Taranto e Verona. Abbiamo poi 26 capoluoghi di provincia e 4 capoluoghi di regione: Catanzaro, Genova, L’Aquila, Palermo. La distribuzione copre il territorio nazionale, con 18 regioni su 20 al voto.

L’Italia del 12 Giugno è dunque quella che Arturo Lanzani ha chiamato “Italia di mezzo”: l’Italia dei Comuni che su questo giornale abbiamo indicato come il fondamento per la costruzioni di livelli di governo territoriale adatti alle caratteristiche insediative, morfologiche e storico-sociali del Paese. “Italia di mezzo”: una categoria residuale che include piccoli comuni, città medie, ma anche “provincia”, aree periurbane, zone metro-rurali e metro-montane, coste e fondovalle.

Per collocazione dimensionale e territoriale, quindi, le elezioni del 12 Giugno saranno elezioni italiane. Come ricorda Arnaldo Bagnasco nello “speciale” città medie al voto che con Francesca Lacqua abbiamo curato per “Il Mulino”, da sempre gli storici hanno riconosciuto alle città un significato di primo piano per capire la società italiana. È quindi paradossale che più di recente sia mancata la precisa percezione politica del loro significato strutturale nella società nazionale. Diversamente da altri Paesi europei con cui di solito ci confrontiamo, in Italia è mancata una vera politica nazionale per le città che riconosca e sostenga il loro ruolo specifico. Anche in queste elezioni se ne sentirà la carenza – e se ne sconteranno gli effetti sulle condizioni in cui le città si presentano alle elezioni – conclude Bagnasco.

Se anche queste elezioni presenteranno elevati tassi di astensionismo, come le ultime amministrative nelle grandi città italiane, non si dovranno “incolpare” gli elettori. È questa l’indicazione che emerge dal perspicuo ritratto di Torre Annunziata, i cui cittadini non si recheranno alle urne perché l’amministrazione comunale è stata sciolta per infiltrazione camorristica: “si sente dire spesso che la «colpa è dei torresi che non sanno votare». Ma la successione di fatti che ho descritto parla d’altro.

Torre Annunziata, città amministrata dal 1995 ad oggi ininterrottamente da coalizioni politiche di centro sinistra (dall’Ulivo in poi), rappresenta oggi piuttosto la coscienza sporca della sinistra. E numerosi sono stati i torresi che sono morti: piccoli commercianti o semplici cittadini che sono stati uccisi in modo brutale – nel negozio, sulla soglia di casa, per strada – per essersi ribellati al sopruso o che sono stati colpiti da proiettili vaganti”.

L’esercizio della democrazia ha le sue radici più profonde nelle città e, in generale, nei luoghi di vita delle persone. La crisi dei partiti, con le derive populiste e personalistiche che conosciamo, insieme alla crescita di sfiducia e astensionismo, è collegata alla carenza di radicamento locale della politica, come racconta il caso di Torre Annunziata. Il radicamento locale dell’esercizio democratico non è indipendente dal ruolo che le città medie possono svolgere per la gestione di strategie di sviluppo di “area vasta”. Come riporta, per esempio, il caso di Alessandria, città che ha dichiarato default nel 2012.

Si tratta di un ruolo davvero difficile da interpretare e che mette in luce come il rischio della disaffezione politica, se non del voto a destra, sia connesso alla scarsa capacità dell’Italia di mezzo di svolgere il ruolo di perno del sistema d’area vasta di cui fa parte. Le città medie non sono poli isolati e autonomi, ma costituiscono nodi di sistemi territoriali che, nella loro diversità, chiamano in causa le interconnessioni tra aree metropolitane, città medie, aree produttive, aree agricole e naturali. La loro minore o maggiore capacità strategica di area vasta ha conseguenze importanti per la loro “politica interna”. Anche per questo, l’esito del 12 Giugno sarà un segnale per tutto il Paese.

Twitter: @FilBarbera