Chiavacci (Arci): «Usciamo dalla solitudine, con una maglietta rossa»
Vestiti rossi Intervista a Francesca Chiavacci, presidente Arci
Vestiti rossi Intervista a Francesca Chiavacci, presidente Arci
Sono oltre 450 i migranti morti nel Mediterraneo soltanto a partire dalla chiusura dei porti italiani disposta dal nuovo ministro dell’Interno, lo dicono i dati raccolti dall’Organizzazione mondiale delle migrazioni. Una strage persino più grande, anche se a singhiozzo, di quella che si verificò a largo di Lampedusa il 3 ottobre di 5 anni fa (368 vittime), che allora destò una tale ondata emotiva di cordoglio e vergogna da portare il governo Letta a varare la missione Mare Nostrum.
Adesso invece a rompere un’indifferenza che sembra generale sono Arci, Anpi, Libera e Legambiente che oggi invitano chi non ci sta, chi non è anestetizzato o d’accordo con il cinismo e il razzismo a indossare una maglietta rossa e uscire di casa. Sono state anche organizzate passeggiate collettive in maglietta rossa, ma l’appello è per tutti e per ciascuno.
Ne parliamo con Francesca Chiavacci, presidente nazionale dell’Arci
Cosa sta succedendo al popolo italiano? Qualcosa sembra essersi rotto e la mobilitazione di oggi sembra quasi minimale.
Ne siamo coscienti, ma è una prima risposta allo choc emotivo. Manca ancora una vera reazione collettiva e certo non basta indossare una maglietta rossa.
Ma abbiamo pensato che fosse importante anche dare un segnale sia sul piano della coscienza collettiva sia cercando di contrastare la ritrosia a mettersi in gioco ognuno con il proprio corpo, uscendo dalla solitudine domestica, dalla logica per cui basterebbe mettere un mi-piace o spegnere la tv per lavarsi la coscienza e fare opposizione.
Ci siamo chiesti come tornare all’abitudine di fare testimonianza attiva, come ricostruire un tessuto di relazioni e reciproci riconoscimenti di non omologazione. Il rosso genera tante suggestioni diverse non solo per un’organizzazione di sinistra: è anche l’alt del semaforo, e per chi è religioso può voler dire ’mettersi nei panni di’, perché ricorda i vestiti rossi messi ai bambini prima della traversata per essere più visibili dai soccorritori. Ho la sensazione che ci sia una crescente voglia di ritrovarsi. Credo che il 7 ottobre la Perugia-Assisi sarà grandissima.
Non ci sarebbe anche bisogno di una discussione collettiva per mettere a punto una strategia d’opposizione a politiche che sono anche europee? Una specie di Social Forum…
Bisogna essere più rappresentativi possibile senza sigle o divisioni. Ciò che si è rotto è la condivisione di valori fondanti di solidarietà e umanità e l’antipatia per questi valori è stata sdoganata quando si è iniziato a criminalizzare le ong e a parlare di accoglienza solo come business. Alimentato da una propaganda abile e falsa che individuava il nemico nel più povero, si è creato nel migrante il capro espiatorio per chi soffre di più per la crisi. Oggi la tensione sociale è concentrata tra gli ultimi e i penultimi, è più facile trovare razzisti non nei quartieri centrali.
C’è tanta esclusione sociale condita da individualismo e ignoranza su cui fa breccia una retorica del capo forte, come da tradizione in Italia, no?
Berlusconi, ma anche Renzi facevano parte di questo stile leaderistico. Non dimentichiamoci però che oggi l’Italia è piuttosto un laboratorio della destra europea. Noi che siamo un’associazione culturale vogliamo tornare a fare formazione: il problema della conoscenza e della falsa verità è grande e complesso. Quando a Firenze è venuto fuori che c’erano persone che ripetevano gli slogan più biechi, abbiamo convocato un’assemblea sull’antirazzismo. In Toscana serpeggia una paura di vedersi portar via i “privilegi” del welfare, una paura che viene indirizzata verso la falsa invasione e non riguarda solo i poveri o le periferie. Non mi risultano tante periferie a Siena. Poi è chiaro che anche scarsa integrazione e mala accoglienza creano razzismo, ma non è tutto lì.
E non nasce oggi. Chiudere i porti, trattenere i migranti in Libia, criminalizzare le ong sono idee del sacco di Minniti, no?
Sì, l’input culturale è precedente a Salvini. Se colleghi i deboli con l’insicurezza, anche con decreti anti accattonaggio, prefiguri lo schema di pensiero che ora viene agito con foga e aggressività verbale. Minniti chiamò noi dell’Arci «buonisti» per irriderci. Noi rispondiamo con la campagna per rinnovare l’iscrizione all’Arci con sulla tessera un barcone e la scritta «più cultura e meno paura».
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