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Usa, sventato il piano indiano per uccidere attivista sikh

Usa, sventato il piano indiano per uccidere attivista sikhGurpatwant Singh Pannun – Ap

Intrigo internazionale Il dipartimento di Giustizia deposita un’accusa contro un uomo dei servizi di New Delhi

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 1 dicembre 2023

Dalla fine di settembre ci sono alcune vicende torbide che aleggiano intorno alle attività dei servizi segreti indiani in giro per il mondo. In particolare in Nordamerica, tra Canada e Stati uniti, dove secondo il governo Trudeau e alcune indiscrezioni dell’amministrazione Usa filtrate sulla stampa anglosassone, l’intelligence indiana avrebbe puntato almeno due obiettivi.

IL PRIMO era Hardeep Singh Nijjar, cittadino canadese di origini indiane e leader della comunità sikh della British Columbia, ucciso a giugno da due killer a piede libero di cui ancora non si conosce l’identità. Il secondo era Gurpatwant Singh Pannun, avvocato americano-canadese di origini indiane residente a New York. Entrambi facevano parte della rete di organizzazioni che promuovono l’indipendenza del Khalistan, uno stato per i fedeli di religione sikh. Organizzazioni che secondo New Delhi sono di stampo terroristico e, di conseguenza, chi ne fa parte come Nijjar e Pannun è considerato dall’India un criminale.

Il premier canadese a settembre aveva pubblicamente accusato i servizi indiani di aver orchestrato e commesso l’omicidio di Nijjar. Il governo indiano aveva rigettato le accuse, descrivendole come «assurde» e politicamente motivate per infangare il nome dell’India.

Passano nemmeno due mesi, e il Financial Times pubblica un’inchiesta in cui diversi funzionari dell’amministrazione Biden – in forma anonima – raccontano che la polizia federale Usa avrebbe sventato un piano per uccidere a New York l’avvocato Pannun. Piano ideato e condotto dai servizi segreti indiani, dettaglio che i funzionari statunitensi avevano condiviso con l’India in colloqui ai massimi livelli, compreso quello tra Biden e il premier indiano Narendra Modi a margine del G20 di New Delhi, a settembre.
Mercoledì 29 novembre, le indiscrezioni anonime affidate al Ft sono diventate ufficiali, scritte nero su bianco in 15 pagine di nomi, cognomi, date e luoghi depositate in un tribunale di New York dal dipartimento di Giustizia.

L’ACCUSA è gravissima: tentato omicidio su commissione e associazione a delinquere per compiere un omicidio su commissione. L’imputato principale è Nikhil Gupta, 54 anni, narcotrafficante originario del Gujarat. Secondo l’accusa, a New Delhi Gupta sarebbe stato assoldato da un funzionario del governo indiano per reclutare a sua volta dei killer negli Usa che avrebbero dovuto uccidere «un attivista pro-Khalistan residente a New York». Nel faldone non viene mai chiamato per nome, ma è probabile si trattasse di Pannun.
Gupta si mobilita e assolda due complici che però, in realtà, sono un informatore di un’agenzia di sicurezza Usa e un agente sotto copertura statunitense, gli infiltrati che Washington è riuscita a piazzare nel gruppo formato e coordinato dall’India da un funzionario del governo indiano che si identifica come «senior field officer» con responsabilità di sicurezza e intelligence. Nel faldone è indicato con la sigla CC-1.

CC-1 PROMETTE 100mila dollari a lavoro finito, fornisce numeri di telefono della vittima e dei suoi collaboratori, indirizzi, fotografie e localizzazioni gps. Organizza anche la consegna di 15mila dollari in contanti, a mano, a Manhattan, come anticipo. Ma soprattutto fa due cose che compromettono profondamente l’amministrazione indiana. Il 18 giugno, quando l’attivista Nijjar viene ucciso in Canada, CC-1 inoltra a Gupta un video del corpo insanguinato di Nijjar dicendo che «questo era uno dei nostri obiettivi» e che dopo il lavoro di New York ce ne saranno altri, «due o tre al mese». Poi, CC-1 si raccomanda con Gupta che l’obiettivo di New York deve essere ucciso in fretta, ma non a ridosso delle date in cui sono previsti incontri diplomatici di alto livello tra India e Usa.

A FINE GIUGNO, quando le insistenze di CC-1 e Gupta per portare a termine il «lavoro» aumentano, Washington decide di intervenire. Gupta vola dall’India in Repubblica Ceca, e appena atterrato viene arrestato dietro richiesta degli Stati uniti. Ora rischia fino a 20 anni di carcere.
Ieri, rispondendo alle domande della stampa, il portavoce del ministero degli Esteri indiano ha detto che le accuse formalizzate dalla giustizia statunitense sono «motivo di preoccupazione» e che la presunta condotta del funzionario CC-1 «non rientra nelle nostre policies».

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