Il nuovo anno giuridico della Corte suprema degli Stati uniti inizia oggi con un calendario già denso di questioni pendenti potenzialmente cruciali. I primi casi (nove per ora) sui quali i togati saranno chiamati a pronunciarsi promettono di avere dirette ricadute sugli equilibri politici del paese.

Uno di questi – Merrill v. Milligan: gli argomenti verranno sentiti dalla Corte domani – riguarda la facoltà delle autorità locali di stabilire a piacere i collegi uninominali per le elezioni. Il sistema noto come gerrymandering consente di designare i confini dei collegi maggioritari in modo da favorire un determinato partito, permettendo in questo modo di nullificare maggioranze popolari “spalmandole” in diversi collegi. Recentemente i legislatori in Alabama hanno ripartito i collegi nel loro stato avendo cura che in nessuno di essi risultasse una maggioranza di elettori afroamericani, storicamente Democratici. L’inibizione del voto dei neri è una tattica storica negli stati del sud che per questo erano stati commissariati dal governo federale dopo la mobilitazione per i diritti civili degli anni 60.

Anche in questo caso una corte di appello ha giudicato illegittima la riforma. Ma la Corte suprema, blindata da conservatori, sarà invece assai più incline a sostenere i distretti creati per favorire i Repubblicani. Per la stessa ragione è probabile che, in un altro caso intentato in North Carolina, i togati ribadiranno l’autorità esclusiva dei parlamenti dei singoli stati di stabilire anche ogni altra regola elettorale per le cariche federali. Pur non avendo una maggioranza nazionale, i repubblicani controllano la maggior parte dei governi locali. Se la corte darà loro ragione potrebbero in futuro acquisire il potere perfino di invalidare nel parlamento l’esito delle urne (come nel 2020 i Repubblicani fedeli a Trump tentarono di fare in Arizona, Pennsylvania, Georgia e Michigan).

Come già dimostrato con l’abrogazione della tutela costituzionale del diritto ad abortire, la Corte potrebbe continuare insomma ad avere un ruolo di primo piano nel contenzioso interno fra forze democratiche ed un movimento reazionario che si prepara se necessario a tentare di sovvertire nuovamente eventuali verdetti sfavorevoli delle urne.

La nuova sessione della corte sarà la prima a cui parteciperà Ketanji Brown Jackson, la prima togata afroamericana della storia nazionale, designata da Biden. La sua presenza non potrà tuttavia alterare gli equilibri politici del tribunale dato che ha sostituito un altro giudice liberal, Stephen Breyer. Attualmente sei dei nove togati sono adepti della Federalist Society una sorta di massoneria Repubblicana di magistrati votati alla dottrina “originalista,” che sostiene l’interpretazione letterale della costituzione del 1789. Uno di questi, il giudice italoamericano Samuel Alito ha scritto che il diritto ad abortire decade in quanto non esplicitamente contemplato dai padri costituenti. La lettura della carta costituzionale simile a quella di un testo sacro ed immutabile va di pari passo con una concezione teocratica che sta rapidamente diventando articolo di fede nel partito Maga. Un sondaggio di questa settimana ha rivelato che il 62% dei Repubblicani è favorevole ad abolire la separazione fra stato e chiesa perorata da Thomas Jefferson e dichiarare gli Stati uniti una “nazione cristiana.” L’attuale composizione della Corte suprema – 5 magistrati sono cattolici integralisti – è effetto e riflesso di questa radicalizzazione. Sullo sfondo dell’ostruzionismo parlamentare dei repubblicani e del fermento complottista nella base, il tribunale ora è asso nella manica della destra intransigente per portare a termine la propria agenda ideologica.

Altre prossime sentenze potrebbero ulteriormente limitare il potere dell’agenzia preposta (Epa) alla tutela dell’ambiente contro l’inquinamento industriale , quello delle università di considerare l’etnia degli studenti nelle ammissioni e rafforzare “l’obiezione di coscienza” di commercianti privati che vogliano rifiutare beni e servizi a clienti Lgbtq su “basi religiose.” La Corte costituzionale si prepara cioè ad opinare in tema delle culture wars con cui, qui come in Europa, la destra consolida il proprio consenso. Il massimo tribunale assume cioè il ruolo di normalizzare posizioni espresse fino a pochi anni fa solo dalle frange più estreme. È il compimento di un obbiettivo perorato dalla destra cristiana e perseguito inizialmente da Ronald Reagan che alla corte aveva designato Antonin Scalia, patriarca originalista ed altro integralista cattolico italo americano. La “conquista” conservatrice delle corte si sarebbe compiuta quarant’anni dopo quando il congresso Repubblicano avrebbe impedito la nomina spettante ad Obama, assegnando a Donald Trump ben tre nomination.

Con questa composizione i “guerrieri culturali” intravedono la concreta possibilità di decostruire gran parte delle conquiste degli ultimi 50 anni su pari opportunità e riportare l’America, se non propriamente al 1789, almeno a prima della stagione del progresso sociale seguito alle mobilitazioni degli anni 60 e 70. Operazione analoga cioè a quella che si prefiggono i nuovi regimi reazionari alla ribalta in Europa.