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Usa, le presidenziali sono un’asta per pochi oligarchi

Usa, le presidenziali sono un’asta per pochi oligarchiKamala Harris arriva a North Hampton (New Hampshire) per un comizio – Jacquelyn Martin/Ap

Elettorale americana Nel paese il dominio dei soldi sulla politica è dato per scontato. Da Timothy Mellon agli imprenditori crypto, i principali «donors»

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 11 settembre 2024

«Signore e signori buongiorno e benvenuti. Abbiamo oggi all’asta due candidati alla presidenza degli Stati uniti: chi offre di più?». Non ci sarebbe nulla di cui stupirsi se la scelta tra Kamala Harris e Donald Trump avvenisse da Sotheby’s e fosse riservata a 50 miliardari attraverso un’asta. È solo per le forme che questo non avviene, la sostanza della competizione è precisamente questa.

LO POSSIAMO dedurre dai dati della Federal Election Commission: tutti insieme, i 50 maggiori donatori di questo ciclo elettorale hanno versato 1,5 miliardi di dollari ai comitati politici dei candidati. Un miliardo e mezzo di dollari, di cui la stragrande maggioranza è andata ai cosiddetti super Pac, che possono accettare somme illimitate dai privati cittadini o dalle corporation grazie alla sentenza della Corte Suprema Citizens United, del 2010.
Per il momento le offerte più alte nella compravendita del presidente vanno tutte nella direzione di Donald Trump: in testa alla classifica con 165 milioni c’è Timothy Mellon, nipote ottantaduenne del segretario al Tesoro e fondatore dell’omonima dinastia bancaria Andrew Mellon.

LA STORIA della famiglia di Timothy è interessante perché il nonno ne creò la ricchezza in quello che definì lui stesso «un periodo che si verifica raramente, e quasi mai più di una volta nella vita di qualcuno». Fu l’epoca durante e subito dopo la guerra di Secessione, tra il 1863 e il 1873: «Un periodo in cui era facile arricchirsi – scrisse Andrew Mellon nelle sue memorie – Il valore delle proprietà e delle merci aumentava costantemente e il mercato era sempre attivo. Bastava comprare qualcosa e aspettare, per vendere con un profitto; a volte, come nel caso degli immobili, con un profitto molto elevato in poco tempo».

Andrew Mellon era un banchiere originario di Pittsburgh (dove esiste e prospera l’università Carnegie Mellon in onore dei due più importanti robber barons di fine Ottocento) e nel 1921 fu nominato segretario al Tesoro dal presidente repubblicano Warren Harding, meritandosi la copertina di Time due anni dopo. Fatto eccezionale, Mellon restò in carica con altri due presidenti repubblicani: Calvin Coolidge e Herbert Hoover, per un totale di 11 anni. La Camera iniziò la procedura per rimuoverlo attraverso la procedura di impeachment ma Harding lo salvò mandandolo a Londra come ambasciatore, una scelta inevitabile dopo il crack del 1929 che diede inizio alla Grande Depressione. Le fortune della famiglia non ne soffrirono e Mellon rimase fino alla morte un accanito oppositore di Franklin Roosevelt e del New Deal.

Se torniamo alla lista dei generosi donatori di oggi, subito dopo Timothy Mellon compaiono altri tre repubblicani: Kenneth Griffith (fondo d’investimento Citadel) con 76 milioni, Jeff Yass (Susquehanna investimenti) con 74 milioni e Richard Uihlein (linee di navigazione Uline) con 71 milioni. Un pacchetto da 386 milioni di dollari.

LE OFFERTE dei milionari democratici, al confronto, sono molto modeste: Michael Bloomberg, l’ex sindaco di New York, ha sganciato 41 milioni; Reid Hoffman e Michelle Yee (Silicon Valley) hanno donato 32 milioni, Fred Eychaner (radio e giornali) 26 milioni e Marylin Simons (erede del fondo Renaissance Technologies) 24 milioni. Collettivamente, 123 milioni, meno di un terzo dei fondi arrivati ai repubblicani.

Non ci sono solo i sostenitori di Trump e quelli di Harris in lizza: nella nostra asta c’è un’importante presenza dei sostenitori di entrambi. Si tratta dell’industria delle criptovalute, ben rappresentata nelle donazioni da Coinbase (91 milioni), Ripple Labs (49 milioni), Ah Capital (48 milioni), Jump Crypto (15 milioni). Un totale di 203 milioni, biglietto d’ingresso per difendere la truffa delle criptovalute da qualunque tentativo di regolamentazione nei prossimi quattro anni.
Nella lista non potevano mancare altri superdonatori repubblicani, come Miriam Adelson, vedova del re dei casinò di Las Vegas (22 milioni), la famiglia Koch (petrolio) con 43 milioni e Jim Walton, erede delle fortune dei supermercati Walmart (12 milioni).

L’ELEMENTO curioso in questa lista è quanto “normale” essa venga considerata negli Stati uniti, come se la dittatura del denaro sulla politica fosse la cosa più logica del mondo. Il tasso di successo elettorale dei candidati meglio finanziati è del 90%. Poi ci sono le eccezioni, talvolta la pubblicità televisiva fallisce nei suoi scopi, in qualche caso i dibattiti come quello della notte scorsa danno risultati sorprendenti. La struttura profonda della politica americana rimane però questa: un minuscolo gruppo di oligarchi che “investe” sui candidati considerati più politicamente vicini, o semplicemente più malleabili per difendere i propri interessi. Una fonte preziosa è il libro di Alessandro Volpi dell’Università di Pisa: I padroni del mondo (Laterza).

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