Urgente per Lula
Intervista Dopo i disastri amazzonici dell’era Bolsonaro, al governo brasiliano il compito di estirpare il bolsonarismo nell'approccio all’emergenza delle popolazioni indigene, aggravata dall'estrattivismo selvaggio. Parla Gilmara Fernandes Ribeiro (Cimi): «Gli Yanomami sono un popolo della foresta che vive della foresta, e nella foresta ha le sue relazioni sacre. Se la foresta viene distrutta, la loro vita e la loro salute sono distrutte»
Intervista Dopo i disastri amazzonici dell’era Bolsonaro, al governo brasiliano il compito di estirpare il bolsonarismo nell'approccio all’emergenza delle popolazioni indigene, aggravata dall'estrattivismo selvaggio. Parla Gilmara Fernandes Ribeiro (Cimi): «Gli Yanomami sono un popolo della foresta che vive della foresta, e nella foresta ha le sue relazioni sacre. Se la foresta viene distrutta, la loro vita e la loro salute sono distrutte»
In Roraima, regione a nord del Brasile al confine con Guiana e Venezuela, l’estrazione mineraria illegale è così grave che il governo ha inaugurato una centrale operativa, a livello federale, statale e municipale, per ampliare la protezione delle popolazioni indigene Yanomami e Ye’kwana su salute, sicurezza e fabbisogno alimentare.
All’inaugurazione la ministra dei Popoli indigeni (Mpi) Sônia Guajajara ha rilevato come «malgrado gli sforzi del governo federale, che dal 2023 agisce per proteggere e sostenere le popolazioni indigene di Roraima, la situazione di emergenza persiste».
Mentre il mondo guarda alla foresta amazzonica come ombelico del proprio futuro, Boa Vista diventa l’epicentro della violenza delle attività estrattive – locali e internazionali – operanti in Brasile, ma anche un luogo privilegiato per preservare la memoria collettiva e riflettere sulla situazione attuale.
Ne abbiamo parlato con Gilmara Fernandes Ribeiro del Conselho Indigenista Missionário (Cimi), fondato nel 1972 in un periodo in cui la dittatura brasiliana promuoveva un modello di sviluppo molto accelerato.
Il Cimi ha iniziato denunciando la situazione di violenza dei grandi progetti di sviluppo, di cui l’autostrada BR-210 divenne il simbolo, e il conseguente genocidio contro le popolazioni indigene. Ha inoltre contribuito a importanti ricerche su queste popolazioni in un’epoca in cui ancora se ne sapeva molto poco.
Come definirebbe la politica indigenista dell’attuale governo?
Dal 1988 abbiamo fatto grandi progressi in termini di diritti dei popoli indigeni, riconoscendo la loro specificità e prima di tutto il loro diritto fondamentale alla terra. Ma l’ex governo Bolsonaro ha innescato un arretramento gravissimo, accelerando un violento processo di invasione dei territori indigeni, di omissioni e violazioni.
Il Funai (ente statale per la tutela delle popolazioni indigene, ndr) è stato inattivo negli ultimi quattro anni. Il lavoro di controllo e raccolta dati in ambito sanitario si è interrotto creando un vuoto nelle informazioni necessarie a formulare e accompagnare politiche pubbliche. Le minacce ai leader, soprattutto indigeni, sono aumentate negli ultimi anni in modo significativo. Quindi quello che avevamo conquistato lo abbiamo perso bruscamente.
In questa situazione è molto difficile agire per il nuovo governo Lula. Ad esempio una delle più gravi urgenze è il rovesciamento totale del Marco Temporal, la Legge 14.701 che viola la Costituzione, colpendo principalmente il riconoscimento delle terre indigene. Anche se la maggior parte delle terre indigene in Brasile sono approvate e registrate – ad esempio, le terre indigene Raposa Serra do Sol e Annomami – continuano ad essere minacciate e invase da minatori, pescatori, cacciatori e chiunque ne voglia trarre profitto.
Come la proposta presentata alla Commissione Agricoltura della Camera per discutere la fine della delimitazione della Raposa Serra do Sol per usarla in alternativa alle terre colpite dalle inondazioni nel Rio Grande do Sul per la produzione di riso nazionale.
Il Marco Temporal costituisce un precedente per qualsiasi tipo di investimento, proposta, concessione di terre indigene e, peggio ancora, ne paralizza la demarcazione. Nel distretto Norte, in Amazonas, abbiamo 101 richieste di demarcazione di terre che attendono, finora il governo dello stato (l’equivalente delle regione in Italia, ndr) non è in grado di affrontare questi problemi.
E riguardo la situazione nello stato di Roraima?
È in corso un’ondata di violenza, abbandono e smantellamento dei diritti dei popolo Yanomâmi. In Roraima esiste una rete mineraria molto ben organizzata sin dagli anni ’80, ma ora è molto ben finanziata. Non si vedevano macchinari di grandi dimensioni come quelli che si vedono oggi nelle terre indigene. Non esistevano finanziamenti strutturali dello stato, mentre ora abbiamo una struttura statale che finanzia, sostiene, fornisce le strutture per l’attività mineraria.
C’è anche un problema di precarietà e violenza contro i migranti in tutta la regione…
L’attività mineraria ha aperto la porta a molti altri di crimini: traffico di droga, milizie armate. È di pochi giorni fà la notizia di una milizia interna alla Polizia Militare che estorceva denaro e viveva grazie alla rete mineraria. Si tratta di più di 100 agenti coinvolti in ogni tipo di crimine, a cominciare da tortura e omicidio.
Tornando agli Yanomami, quale direbbe che è la maggiore urgenza e perché?
Gli Yanomami sono un popolo della foresta che vive della foresta. La foresta è dove cacciano, pescano, coltivano, dove hanno le loro relazioni sacre. Se la foresta viene distrutta, la loro vita e la loro salute sono distrutte. Ci sono moltissime persone gravemente ammalate.
Per quanto Lula lo scorso anno abbia emesso il decreto di emergenza sanitaria nella terra degli Yanomâmi, non basta. Il governo federale avanza ma con molta debolezza, perché il territorio è invaso da vari cartelli di droga, gruppi armati, con grave connivenza tra rappresentanti del governo, la polizia militare e le sue milizie. A questo si sommano le difficoltà logistiche di un territorio enorme.
Ma esiste la Segreteria di Salute Indigena (Sesai)…
Sì, del Ministero della Salute. Negli anni ’90, fino al 2000, l’organizzazione sanitaria Urihi era riuscita quasi ad eliminare la malaria, perché esistevano equipe multidisciplinari di infermieri e tecnici che rimanevano stabilmente nei villaggi anche per un mese, quindi il paziente veniva trattato e monitorato.
Oggi è molto difficile trovare una equipe che rimanga perché il territorio è molto minacciato. Inoltre le persone lavorano per soldi, fanno qualsiasi concorso pubblico pur di garantirsi un posto. E poi c’è il grande problema del bolsonarismo. Ci sono bolsonaristi che lavorano alla Funai, ai ministeri della Salute e della Giustizia, alla Polizia Federale, lavorano ovunque. Ecco perché il bolsonarismo è andato ben oltre Bolsonaro.
E il ministero dei Popoli indigeni?
Era una vecchia richiesta del movimento, espressione di una buona politica. Ma è molto bloccato, in primo luogo perché le persone stanno imparando come fare le cose. La creazione di un ministero non avviene da un giorno all’altro, e senza risorse. È diverso dalla Funai che esiste, nel male e nel bene, dal ’67.
La sua creazione si lega a due questioni: la promessa elettorale e anche le politiche affermative per cui Lula ha sempre lottato infatti sono diverse le nomine in questo senso del suo governo. Nel campo indigena Joênia Wapichana alla Funai, Sônia Guajajara al Mpi, Weibe Tapeba alla Sesai, Sandra Benites alla Funarte. Quindi ha mantenuto la promessa ma con pressioni molto forti da parte del governo, perché la questione indigena all’interno del governo Lula è molto difficile e ha varie sfumature di interessi. Da parte di tutti, sia della opposizione che del governo in carica.
L’Mpi è ancora in fase di prova per la propria affermazione e gestione e l’attuale congresso ha fatto che i risultati siano stati ben al di sotto di quanto previsto, a cominciare da questa questione delle demarcazioni. Qui a Roraima la terra indigena Arapuá del popolo Makuxi Wapuxana aspetta di essere delimitata da più di 30 anni.
È di pochi giorni fa la notizia dell’affido, da parte della magistratura, della custodia di un bambino Yanomami ad una coppia che lavora nel settore minerario. Vuole commentare?
Ho rilasciato diverse interviste in cui giornalisti i mi chiedevano con orrore come fosse possibile lasciare un bambino malnutrito nella foresta. Secondo loro è impensabile che non ci sia cibo nella foresta per questi bambini. Bisogna spiegare alle persone che se non c’è più pesce, non c’è più selvaggina, e gli adulti della sua famiglia hanno malaria, tubercolosi, polmonite, nessuno può garantire cibo.
Quindi il bambino a sua volta si ammala. Ci sono mamme incinte con la malaria, malnutrite, che mettono al mondo bambini con diverse fragilità. Quindi penso che una delle possibili spiegazioni sia questa. I non indigeni si commuovono nel vedere bambini denutriti. La bambina era denutrita, le hanno dato da mangiare. Al campo dei minatori c’è cibo e queste cose sono molto attrattive per persone ammalate e denutrite.
Certo rimane urgente denunciare il traffico dei bambini. Esiste anche un’emergenza prostituzione di bambine e adolescenti, indigeni e migranti i cui destini in questi territori di frontiera possono coincidere. Dove si trovano militari e minatori la prostituzione arriva di conseguenza.
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